Partiti e politici
Azzolina: l’Italia non è un Paese per giovani. Scatarrare? lo riscriverei
Lucia Azzolina, ex ministro dell’Istruzione del Governo Conte II, non è certo è una che le manda a dire. La deputata grillina, commentando la decisione del Consiglio di Garanzia del Senato che ha confermato il vitalizio a Roberto Formigoni (condannato a 5 anni e 10 mesi di carcere per corruzione), ha protestato su Twitter con un sottile “Come scatarrare sui cittadini onesti”. Avesse scritto “sputare” non se ne sarebbe accorto nessuno, ma quel misto di muco ha infastidito non poco le virtuali squadre del buon costume nostrano, spesso più attente a pesare le parole che i fatti.
Buonasera Azzolina, come va con il catarro?
(Ride divertita…) «Quel verbo è evidentemente lontano da me e dal mio consueto modo di comunicare però ho deciso di usarlo perché volevo raccontare tutto il livello di disgusto che questa vicenda mi ha procurato. La parola che ho utilizzato ha suscitato repulsione? Sì, ma anche la restituzione del vitalizio a Formigoni – e non solo a lui – dovrebbe suscitarne altrettanta, o forse no? Dalle reazioni che ho visto mi è sembrato che per qualcuno fosse più ripugnante l’utilizzo del verbo scatarrare rispetto a quella decisione».
Quindi riutilizzerebbe quel termine?
«Assolutamente, io non sono una che scrive le cose a caso: penso, rifletto e poi decido. È evidentemente tornata di moda la stagione dei perbenismi, di quelli che si indignano e si sentono turbati nel profondo per un verbo ma non per una decisione che premia i condannati, una decisione di cui pochissimi avevano dato informazione. Io so che in Italia qualcuno pensa che questo sia populismo, ma la realtà è quella di un Paese in cui ci sono tanti cittadini onesti che per arrivare alla pensione lavorano quarant’anni e poi ci sono i corrotti: bisogna scegliere da che parte stare e per cosa indignarsi. E io ho scelto, tutto qui».
La battaglia legale tra Movimento 5 Stelle e Associazione Rousseau sembra un nodo venuto al pettine, il paradosso di un partito in cui la struttura era di proprietà di un privato e voi eletti cosa a sé. Come ne uscirete?
«Questa partita a ping pong deve finire, perché più il Movimento resterà in questo interregno e più farà un regalo ai suoi nemici. Serve un accordo in tempi brevi, altrimenti si vada oltre: io non penso che si possa continuare ad essere ostaggi delle diatribe in tribunale. Rousseau è stato uno strumento che ha permesso la democrazia partecipata che è parte della nostra identità: io stessa sono stata eletta con le parlamentarie; ma Rousseau è appunto uno strumento, la politica deve poi farla il Movimento».
Però lo strumento è anche titolare della struttura, a cominciare dagli iscritti: oggi siete come una testa senza il corpo…
«Infatti è un problema che va risolto alla svelta, soprattutto perché facciamo parte di un Governo sostenuto da una maggioranza molto eterogenea con tante spinte e tanti sgambetti politici, pensiamo a Salvini che ormai sta al Governo e all’opposizione nello stesso giorno. È un Governo che in questa situazione deve fare delle riforme, per questo abbiamo bisogno di una guida politica che sia incisiva e metta ordine nei gruppi parlamentari. La perdita di Luigi (Di Maio, ndr) come capo politico è stata un duro colpo e abbiamo attraversato un periodo faticoso».
C’è Giuseppe Conte, ma fatica a prendere il controllo della situazione…
«Per me Conte rappresenta la guida di cui abbiamo bisogno ed è anche una leadership in grado di traghettarci verso un profilo che sia pienamente di Governo. Dopo tre anni penso che questa sia la strada giusta…».
Va in soffitta il Movimento “movimentista” delle origini?
«Il Movimento delle origini ha portato il reddito di cittadinanza, lo spazzacorrotti, dieci miliardi di euro sulla scuola, il codice rosso… più che metterlo da parte penso che l’esigenza sia quella di ridisegnarne l’agenda politica, perché molte delle cose che volevamo fare le abbiamo fatte. Ovviamente non è semplice, è un processo molto profondo e le difficoltà che abbiamo in questa fase non mi sorprendono».
In questi giorni si discute molto della proposta di una “dote” ai giovani avanzata da Enrico Letta. È un’idea che vi piace?
«Sollevare il tema di come fare a recuperare delle risorse immediate per i giovani non può e non deve essere un problema; sul come fare si deve discutere e decidere insieme. Draghi ha detto “non è il momento di mettere nuove tasse”, ma i 500 miliardi di nuovo debito che abbiamo dovuto fare nell’anno della pandemia di fatto sono nuove tasse: è un debito che pagheranno le future generazioni. Già questa piccola ipocrisia andrebbe quindi tolta dal tavolo. Se si mettono nuove tasse si deve dire a cosa servono, cosa devono finanziare. Il rischio è quello di ribadire nei fatti che l’Italia non sia un Paese per giovani, cosa purtroppo confermata dal fatto che ogni anno in 200mila emigrano e sono spesso i nostri cervelli migliori. Quando si parla di giovani, purtroppo, una parte della politica si gira sempre dall’altra parte».
A proposito di giovani, lei recentemente è tornata sulla necessità di un sostegno psicologico ai ragazzi…
«Nei mesi passati ho ricevuto tante lettere dai ragazzi e l’estate scorsa – quando ancora non era esploso il problema – avevo stanziato 40 milioni di euro per fare sì che nelle scuole ci fossero delle risorse per il sostegno psicologico. Ricordo che mentre io facevo questa cosa c’era Salvini che andava in giro a farsi i selfie senza mettere la mascherina. Oggi il quadro è peggiorato, ci sono situazioni patologiche da curare e disagi ancora in potenza che vanno trattati subito: su questo mi sono confrontata con esperti come Lazzari, Villani e Locatelli e tutti concordano sull’esigenza di adottare delle misure. Nel decreto Sostegni Bis, per il supporto psicologico sono stanziati solo 20 milioni di euro, ovvero la metà di quelli che avevamo messo noi: sono pochi e vanno aumentati. Qualcuno forse sta commettendo l’errore di pensare che vaccinandoci tutti gli effetti della pandemia finiscano immediatamente, ma gli strascichi, sia dal punto di vista economico che psicologico e sociale, ce li porteremo ancora per molto e i ragazzi sono quelli che stanno soffrendo di più».
Restiamo sul Decreto Sostegni Bis: la convince la parte che riguarda la scuola?
«No, non mi convince perché ci sono diverse cose che secondo me non vanno. Ad esempio un neolaureato che decide di fare un concorso e non lo supera non ne potrà fare un altro per almeno un anno: è una norma molto punitiva che è stata voluta dalla Lega e resto un po’ basita dal leggere le dichiarazioni del sottosegretario all’Istruzione Rossano Sasso, che forse non si è ancora accorto di stare al Governo e sui social attacca il decreto e i dipendenti della scuola, “colpevoli”, secondo lui, di non aver votato per il suo partito. Forse Sasso dimentica che loro il ministro l’hanno avuto e si chiamava Marco Bussetti. Evidentemente, non essendo riuscito a mantenere mezza promessa fatta, deve prendersela con qualcuno. Un’altra cosa che non mi convince sono le eccessive richieste a docenti specializzati nel sostegno rispetto a chi, al contrario, non ha sostenuto alcuna prova selettiva. E ancora: non trovo normale che si facciano concorsi diversi a seconda della classe di concorso in cui si insegna, lo trovo fuori da ogni dettato costituzionale, perché non puoi trattare in modo diverso un insegnante di matematica rispetto a un insegnante di italiano. Il problema è che sulla scuola non si va avanti perché si continuano a cambiare le regole in base a dove soffia più il vento: per cercare di accontentare tutti si finisce sempre per scontentare tutti».
Lei ha fatto la battaglia per le scuole aperte, una battaglia politica che non le è stata riconosciuta. Cosa ha imparato da questa esperienza, politicamente e umanamente?
«È stata una battaglia che mi è stata riconosciuta dal Paese. La politica, invece, me l’ha fatta pagare cara: ho ricevuto tantissime lettere dalle mamme, dai papà, dai docenti e dagli studenti e questo mi ha resa molto felice. E se tornassi indietro farei una, cento, mille volte, la battaglia per le scuole aperte, perché è una battaglia di civiltà. C’è stato un pezzo di politica che non lo ha capito e che ancora oggi non capisce il valore che la scuola ha per un intero Paese. Umanamente è un’esperienza che mi ha lasciato un misto di gioia e amarezza: da una parte il sostegno della gente e dall’altro il trovarmi a combattere nelle sedi istituzionali insieme a pochissimi altri. A questo proposito voglio ancora ringraziare Giuseppe Conte che in quei momenti mi ha molto sostenuta».
E poi c’è chi continua a rinfacciarle gli ormai mitologici banchi a rotelle, la Lega cita un sondaggio che dice che nel 72% dei casi non vengono utilizzati…
«La Lega fa tanta disinformazione: è credibile un sondaggio online in cui 1.800 persone rispondono a nome di un milione di lavoratori nella scuola per dire cosa succede in 40 mila plessi? Un sondaggio in cui si poteva votare più volte. È credibile? A Salvini che parla solo di banchi suggerirei di fare un giro nelle scuole; scoprirebbe che i banchi a rotelle li usano, e che li hanno scelti i dirigenti scolastici. Il dramma è che sulla scuola ci sono 60 milioni di coach ma quelli che conoscono l’argomento sono davvero pochi. Mi sono trovata spesso nella situazione in cui gli organi di informazione davano delle notizie e i dirigenti scolastici mi scrivevano “di noi non hanno capito nulla”. I banchi a rotelle sono stati scelti dai dirigenti: 2,4 milioni di pezzi, di cui 400 mila con le rotelle. E la notizia è che quei modelli innovativi nelle nostre scuole esistono dal 2012. Ed esistono anche nelle scuole dei Gesuiti, tanto apprezzate perché ci hanno studiato personalità importanti come Mario Draghi e che sulle loro brochure di presentazione per l’orientamento mettono proprio i famigerati banchi a rotelle. Ripeto: Salvini vada a fare un giro nelle scuole e parli con i dirigenti scolastici, magari qualcuno di loro potrebbe fargli anche qualche lezione di educazione civica».
Recentemente ha firmato una legge sul voto ai fuorisede. Perché pensa sia importante
Anche questa è una legge che risponde alle esigenze di molti giovani, pensiamo ai ragazzi che studiano in altre città, ma anche alle persone che lavorano fuori sede: io stessa, quando a 26 anni appena compiuti ho iniziato a lavorare a La Spezia, vivevo la difficoltà di dover prenotare un volo aereo per andare a votare e con uno stipendio basso era un sacrificio. Perché nel 2021 non si deve garantire a tutti la possibilità di esercitare un diritto? Per questo, insieme al presidente Brescia, darò il mio contributo affinché questa legge vada in porto. Anche questa è una battaglia di civiltà».
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