Partiti e politici
Azzariti: «Il presidenzialismo qui sarebbe pericoloso rafforziamo il Parlamento»
La rielezione di Sergio Mattarella ha liberato il Parlamento italiano da una grave impasse, specie considerando che l’emergenza sanitaria è tutt’ora in corso e che il PNRR non è uno sprint, ma una maratona che richiede un parlamento e un governo concentrati.
Se Mattarella non si è sottratto alla chiamata del Parlamento proprio in forza del momento storico di particolare difficoltà, taluni hanno interpretato la sua rielezione come il segnale che qualcosa, nel sistema istituzionale italiano, è cambiato (“l’Italia dei due presidenti” è la nuova formula coniata da certi media). Altri osservatori sono tornati a invocare l’elezione diretta del presidente. Per provare a capirne un po’ di più ne abbiamo parlato con Gaetano Azzariti, professore di diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma.
È stata una forzatura spingere Mattarella ad accettare un secondo mandato?
Vede Saini, non si è avuta alcuna illegittimità costituzionale, perché la Costituzione non prevede espressamente il divieto di rielezione, che dunque è pur sempre un’ipotesi possibile. In caso, il vulnus riguarda un principio fondamentale della democrazia, che prevede che ogni carica di vertice monocratica sia temporanea. In costituzione, la durata del mandato del presidente della Repubblica è la più lunga, fatta salva quella dei giudici della Corte costituzionale, che arriva a nove anni. E se la Costituzione non vieta la rielezione del capo di Stato in carica è solo per permettere di superare impasse in momenti del tutto eccezionali.
In fondo questo è un momento di emergenza.
Ma la patologia del sistema italiano risiede nel fatto che questa è la seconda volta di seguito che si ricorre a questo strumento eccezionale: già nel 2013 l’organo parlamentare non riuscì ad eleggere un “nuovo” presidente. S’intenda, Mattarella sarà un ottimo presidente, è da tutti apprezzato, nulla da dire dunque sulla persona: se non il migliore, uno dei migliori che si potesse scegliere. Essendo io un costituzionalista non posso però evitare di rilevare che è la seconda volta che il Parlamento viene meno ai suoi obblighi costituzionali. E in questo senso, se la rielezione di Mattarella può essere considerata un successo se si guarda alle sue capacità e doti, cionondimeno ha decretato anche il fallimento del Parlamento, e quindi una sconfitta del sistema politico. Inoltre, per le modalità con cui si è arrivati all’elezione, è stato quasi come se si ammettesse che non c’era nessun altro che potesse sostituirlo. E se ciò fosse vero sarebbe terribile, perché la democrazia è quel sistema in cui nessuno è indispensabile.
Pensa che l’accaduto possa aprire la strada a una riflessione su un nuovo sistema, in chiave presidenziale?
Sono assolutamente contrario a questa lettura ed anzi traggo una conclusione opposta. È il Parlamento che va rafforzato. In Italia il sistema presidenziale sarebbe pericolosissimo perché si rafforzerebbe un potere che è già forte. Dovremmo piuttosto pensare a razionalizzare la forma di governo parlamentare, quella che già abbiamo. Se invece seguiamo il sentimento che a tratti parrebbe così diffuso, quello di “eleggere un capo”, rischiamo di produrre pericolosi cortocircuiti e concentrare il potere in un’unica sede. Insomma, l’Italia non è in grado di reggere né un sistema presidenziale, né semi-presidenziale.
Perché?
Si romperebbero gli equilibri di sistema: ad un presidente forte, ancora più forte, si opporrebbe un parlamento debole, ancora più debole. Le forme di governo presidenziali sono tutte degenerate quando non si sono potute fondare, come negli Stati Uniti, su consolidati e autonomi contrappesi.
Quindi a suo avviso il problema è la debolezza del Parlamento.
Assolutamente. È questo il nostro principale problema costituzionale. Le vere cause di molte delle nostre crisi, comprese quelle emerse all’elezione del Presidente, si spiegano per via della situazione in cui versa il Parlamento, che già da tempo ha grandissime difficoltà a svolgere le funzioni che gli sono assegnate.
In che senso?
Per quanto riguarda la funzione legislativa esso si limita quasi esclusivamente a convertire i decreti-legge, ovvero gli atti del governo; e per quanto riguarda la scelta dei governi non riesce più a esprimere solide maggioranze politiche, tant’è che si deve ricorrere a governi tecnici espressione più della volontà dei presidenti della Repubblica che non delle forze parlamentari.
Perché i partiti politici sono così deboli oggi?
L’Italia è stato il paese in cui i partiti politici hanno avuto la maggiore legittimazione nella storia: hanno fatto la resistenza, hanno scritto la Costituzione, erano radicatissimi. Siamo stati il paese europeo con la più forte identificazione nei partiti, con la partecipazione popolare più alta alle elezioni e alla vita politica. Sappiamo fin troppo bene che adesso la situazione è molto diversa. I partiti dovrebbero davvero interrogarsi su come sono riusciti, proprio in Italia, a perdere tutto il loro capitale di legittimazione sociale e il legame con le persone. L’autoreferenzialità della politica è una tragedia e in Italia è un problema politico, sociale e culturale gravissimo che dovremmo affrontare.
Quali sono le conseguenze di ciò?
Abbiamo esponenti politici, in generale, molto poco autorevoli. Tant’è che, come per questa elezione del capo dello Stato, quando si devono fare scelte impegnative sul piano costituzionale, non è facile trovare persone adeguate al ruolo e si è costretti a rivolgersi come ultima ratio alle pochissime persone che hanno ancora un capitale di autorevolezza, ad esempio Sergio Mattarella, appunto. In altri casi, in via ordinaria, alla tecnocrazia, cioè non si guarda più ai politici ma ai tecnici. Mario Draghi, in questa prospettiva, è l’esempio più chiaro: ha una sua grande autorevolezza in qualità di tecnico, di ex presidente della BCE. Certo, ora anche in qualità di presidente del Consiglio, però non ha, né cerca, una legittimazione politica. E questo dovrebbe essere un problema, non tanto per lui, ma per il nostro ceto politico, che rischia di essere delegittimato.
Una legge elettorale diversa potrebbe cambiare la situazione?
Cambiare la legge elettorale sarebbe molto importante. Non è l’unica cosa da fare, però riuscire ad avere una legge elettorale in grado di dare effettiva rappresentanza al corpo elettorale, e dunque ai cittadini, sarebbe almeno mezzo passo avanti. Per quanto riguarda il sistema elettorale, lei ha presente lo slogan “Bisogna sapere il giorno stesso delle elezioni chi ci governa”? A mio modo di vedere è sintomo di una grande miopia, frutto di una ossessione per la governabilità a ogni costo. Per ottenere questo risultato (il governo “a prescindere”) abbiamo fatto ricorso a meccanismi oltremodo distorsivi della volontà popolare: sistemi maggioritari, liste bloccate, premi alle coalizioni. Riscoprire il concetto di rappresentanza politica sarebbe un bel viatico, e in linea di massima ciò è consentito da sistemi di stampo proporzionale, quelli meno distorsivi di tutti.
Crede che Draghi sia uscito rafforzato da queste elezioni presidenziali?
Non ho una risposta netta, credo si debba distinguere. Certo, rispetto al deserto che si è creato, al vuoto e incapacità dimostrati dal sistema politico, ne esce rafforzato, ma ciò è dovuto soprattutto al fatto che si sono ridimensionati gli altri. Però è anche vero il contrario. Ieri Draghi doveva rapportarsi con un governo di unità nazionale mettendo insieme partiti politici molto diversi e divisi al loro interno. Oggi la balcanizzazione aumenta e le stesse forze politiche che lo sostengono esasperano le loro divisioni interne e tra loro. Sotto questo aspetto il governo ne esce indebolito e Draghi rischia di avere vita più difficile. Per garantire la continuità il fatto che ci sia ancora Mattarella probabilmente lo può rassicurare. Almeno nel breve periodo.
Fonte dell’immagine in copertina: www.governo.it licenza CC BY-NC-SA 3.0 IT
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