Partiti e politici

Austria: dopo l’addio di Faymann, un manager per Cancelliere

13 Maggio 2016

Auguro al mio successore solo il meglio. So cosa vuol dire portare sulle spalle il peso di essere a capo di un Governo”.  Questa la conclusione del solenne discorso che il Cancelliere socialdemocratico austriaco, Werner Faymann, ha pronunciato lo scorso 9 maggio annunciando le sue dimissioni. Sette anni e mezzo alla guida del governo di Grande Coalizione di Vienna, a capo di un Partito Socialdemocratico in piena crisi d’identità. L’esclusione del candidato del partito dal secondo turno delle elezioni per la Presidenza della Repubblica, che hanno visto la prepotente emersione degli outsider dei Verdi e dell’estrema destra, era stata una prima, drammatica, avvisaglia che il clima politico stava cambiando. Le decisioni del Cancelliere in materia di immigrazione avevano da tempo suscitato freddezza e smarrimento nella base del partito: “occorre affrontare la realtà” ha rivendicato Faymann con espressione dolente durante il suo discorso di addio, tentando di giustificare la controversa decisione di chiudere la frontiera al Brennero. La forte disaffezione della base era già stata denunciata da molti osservatori, preoccupati dalla scarsa mobilitazione registrata in contesti favorevoli come Vienna, la roccaforte rossa per eccellenza. Timore confermato durante il comizio del Primo Maggio nella piazza del Municipio della capitale, appuntamento di fondamentale importanza per la sinistra austriaca. I video ripresi in quell’occasione rivelano plasticamente lo scollamento tra il Cancelliere e il suo partito: mentre Faymann tenta di tenere il discorso di rito dal palco (con l’accento viennese che lo ha reso inconfondibile e facilmente imitabile nei programmi di satira), una folla di iscritti e simpatizzanti fischia rumorosamente sventolando cartelli di protesta. Dietro di lui i vertici del Partito, impietriti e imbarazzati. “Hai distrutto Schengen! Hai distrutto l’Europa!” grida un ragazzo straniero, agitando un cartello rosso con la scritta in tedesco “Dimissioni”. La metropoli più cosmopolita d’Austria si ribella al più longevo capo di governo di sinistra d’Europa, intrappolato tra una maldestra propensione al pragmatismo e i tabù del suo partito. E mentre spetta al Verde Alexander van der Bellen rappresentare la parte del Paese più progressista contro il candidato della destra anti-europeista Norbert Hofer al secondo turno delle presidenziali, Faymann getta la spugna e pone fine al suo secondo governo.

Le motivazioni alla base della decisione vengono suggerite da Faymann in vari passi dal suo lungo e accorato discorso: il partito non è più con lui, nonostante l’Austria sia l’unico Paese europeo ad aver affrontato la crisi economica senza imporre misure di austerity ai propri cittadini. È un Paese forte, ripete quasi ossessivamente il Cancelliere dimissionario, visibilmente ferito dall’improvvisa decisione del suo popolo di voltargli le spalle. Consapevole delle paure che sconvolgono nel profondo la società, rivendica Faymann, è stato in grado per due volte consecutive di ottenere la fiducia della maggior parte degli elettori. È innegabile però che i due partiti che formano l’asse portante del governo della Repubblica alpina sono stati sbrigativamente avvertiti dall’elettorato: o si cambia o si sparisce. L’Austria della rigida divisione proporzionale tra socialisti e popolari non esiste più. L’addio di Faymann è l’ultimo, clamoroso, segnale che una nuova era politica è alle porte.

A chi affidare il delicato compito di sostituirlo? Mentre sui media austriaci si diffondevano strane speculazioni (Faymann a Bruxelles al posto di Tusk, di Schulz o addirittura della nostra Federica Mogherini), a conquistare le prime pagine dei giornali è stato un personaggio al di fuori della politica: il capo delle Ferrovie Austriache (OBB) Christian Kern. È lui, manager con il cuore che batte a sinistra, il candidato perfetto per ristabilire la connessione emotiva perduta tra il popolo del Primo Maggio e il Cancelliere socialista troppo dedito alla Realpolitik. Una decisione che in una partitocrazia come l’Austria ha scatenato un ampio dibattito pubblico, tracimato ben presto nella vicina Germania. Anche a Berlino ci si interroga infatti sulla capacità della Cancelliera Angela Merkel di reggere l’impopolarità dovuta alle sue scelte aperturiste in materia di immigrazione: e se la Merkel, al contrario del suo omologo austriaco, dovesse essere travolta dal malcontento di quella parte della Germania che auspica maggior rigore nella gestione dei flussi di rifugiati? Alla luce della recente ondata di scandali che hanno colpito diverse aziende, osserva però in un editoriale Holger Steltzner della FAZ, come potrebbe un Amministratore Delegato rafforzare la fiducia dei cittadini nella politica e nelle istituzioni?

Un pragmatico che tende a sinistra”, così il quotidiano di centrodestra Die Presse definisce colui che si appresta a diventare il prossimo leader del Partito Socialdemocratico austriaco e dunque il nuovo Capo del Governo. Cinquant’anni, nato nel quartiere popolare di Simmering a Vienna, Kern è figlio di un elettricista e di un’impiegata. Militante socialista sin dai tempi dell’Università e breve carriera di giornalista economico alle spalle, Kern è stato portavoce di Peter Kostelka, prima sottosegretario e poi capogruppo del partito in Parlamento. In seguito la carriera manageriale: prima nel colosso energetico Verbund e poi al vertice delle Ferrovie. La sua ascesa alla Cancelleria è un inedito assoluto nella storia della Repubblica: prima di lui solo l’outsider socialista Vranitzky aveva compiuto una manovra simile, ma dopo aver ricoperto la carica di Ministro delle Finanze. Kern ha per ora il vento in poppa: dopo aver incassato il sostegno di tutti i capipartito dei vari Länder, è pronto a conquistare Ballhausplatz, la storica sede della Cancelleria di fronte al Palazzo Imperiale che ospita ora la Presidenza della Repubblica. A lui il compito di traghettare la socialdemocrazia fuori dalle secche in cui l’ha trascinata Faymann, dimostrando di essere all’altezza di una difficile operazione di conciliazione tra i valori storici della sinistra e la sensibilità del nuovo ceto medio, il vero elettorato del partito.

Dai treni alla politica, con la speranza di non essere fischiato il prossimo Primo Maggio

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