Partiti e politici
Appunti minimi verso il congresso: una vera riforma fiscale
Anche se la prima fase del Congresso è praticamente terminata, e i programmi dei candidati già definiti, vorrei cogliere l’occasione per lasciare loro ancora qualche spunto. In fondo la seconda parte del Congresso finirà il 30 aprile col voto aperto a elettori e simpatizzanti, chissà che magari ci possa essere ancora spazio per parlare di qualche tema concreto rispetto alle solite polemiche di piccolo cabotaggio a cui siamo stati abituati fino a ora. Nello specifico vorrei fare un semplice ragionamento sulle tasse. Del resto siamo in un contesto in cui la bassa crescita dei salari, che citando Mario Draghi sono “ben al di sotto delle medie storiche”, è uno degli elementi che rallentano l’inflazione nonostante l’azione della Bce. Ed è proprio Draghi a sostenere la necessità che crescano gli stipendi per far ripartire i consumi.
Ma come si possono aumentare gli stipendi? A parte il convincere in blocco tutte le aziende pubbliche e private a concedere aumenti in busta paga, una via potrebbe essere quella di diminuire la pressione fiscale, che per un lavoratore subordinato si potrebbe tradurre soltanto in una revisione degli scaglioni IRPEF. La squadra di Renzi, su questo tema capitanata da Tommaso Nannicini, pensa a una decontribuzione ma solo per i giovani. L’idea risale a un paper del 2011, e prevedere una specie di dote di 3 anni per gli under 35, “tipo per i primi 3 anni di lavoro a tempo indeterminato”. E chi prima dei 35 non riesce ad avere un contratto di lavoro simile? Quelli con contratti precari, restano a guardare? Capisco la “questione generazionale” ricordata da Francesco Cancellato su Linkiesta, ma qui si interseca anche un problema di disoccupazione, e non la combatti con uno sconto sulle tasse di tre anni: serve a poco costruire uno sconto ad hoc se poi un lavoro questi giovani non lo trovano. Anche per questo un’altra idea al vaglio del governo Gentiloni è quella del taglio del cuneo contributivo per tutti i lavoratori dipendenti privati, ma anche lì: il comparto pubblico resterebbe a guardare nonostante un blocco degli stipendi che dura da ormai sette anni? L’idea del taglio del cuneo è utile per rilanciare il mercato del lavoro, ma potrebbe essere utilizzato all’interno di un’azione più ampia che riguardi anche la suddetta revisione degli scaglioni IRPEF.
Una revisione globale delle aliquote IRPEF, insieme al taglio del cuneo fiscale, potrebbe quindi essere la soluzione migliore. Magari abbinata a una revisione e a una razionalizzazione di tutti quei bonus, sgravi, e contributi vari, spesso istituiti al solo scopo di lasciare qualche spicciolo in più nelle tasche delle persone. Recuperare i soldi di quei bonus per poter abbassare le tasse direttamente alla fonte, nelle buste paga. Perché tenere bloccati gli stipendi spendendo soldi in bonus da utilizzare nel campo del welfare, bonus che spesso diventano inutilizzabili per scarsità (ad esempio) di strutture convenzionate? Perché non lasciare direttamente i soldi in busta paga, dando a ogni cittadino la libertà di scegliere a chi rivolgersi per le proprie esigenze? Di queste cose ne parla anche uno studio della CISL: “L’impianto delle detrazioni fiscali avvantaggia i redditi medio-alti escludendo una grossa fetta di quelli più bassi. […] Il sistema – rileva lo studio – premia i redditi tra i 70-75 mila euro, mente tra coloro che dichiarano fino a 20 mila euro solo il 40% usufruisce delle detrazioni”. La conclusione è proprio quella di invitare il governo a superare la logica dei bonus in favore di una riforma strutturale del fisco.
Occorre ammettere che Renzi, da Presidente del Consiglio, parlò di una riforma degli scaglioni IRPEF da attuare nel 2018. Un progetto che resta in piedi, tanto che girando in Rete si possono già leggere alcune anticipazioni su ciò che potrebbe avvenire. Ma dalle indiscrezioni la direzione intrapresa sembra essere contraria alla richiesta di maggiore sostegno verso i redditi medio-bassi. La proposta dovrebbe vertere sulla riduzione degli scaglioni, da 5 a 3. Quelli attuali sono questi:
* 1° scaglione IRPEF 2017: aliquota 23% per i redditi da 0 a 15.000 euro;
* 2° scaglione IRPEF 2017: aliquota 28% per i redditi oltre 15.001 euro e fino a 28.000 euro;
* 3° scaglione Irpef 2017: aliquota al 38% per i redditi oltre 28.001 euro e fino a 55.000 euro;
* 4° scaglione Irpef 2017: aliquota IRPEF 2016 41% per i redditi oltre 55.001 euro e fino a 75.000 euro:
* 5° scaglione Irpef 2017: aliquota al 43% per i redditi oltre 75.001 euro.
Praticamente chi ha un reddito di 23.000 euro circa, paga il 23% fino ai 15.000 euro e il 28% sui restanti 8.000. Infatti l’aliquota più alta si paga solo sulla parte che supera ogni scaglione. Nella proposta per il 2018, oltre a una zona di esenzione completa fino agli 8.000 euro, si prevedono 3 scaglioni:
* 1° scaglione IRPEF 2018: aliquota al 27,5% per i redditi fino a 15.0000 euro;
* 2° scaglione IRPEF 2018: aliquota al 31,5% per i redditi fino a 28.000 euro;
* 3° scaglione IRPEF 2018: aliquota al 42 o 43% per i redditi oltre i 28.000 euro.
Ai nuovi scaglioni dovrebbero aggiungersi delle detrazioni: 1.000 per i lavoratori dipendenti, 800 euro per i pensionati e 200 euro per gli autonomi. Praticamente si prosegue nella politica dei bonus e nel contempo si aumentano le tasse. Infatti, prendendo sempre il reddito prima citato di 23.000 euro, in questo caso si pagherebbe il 27,5% fino ai 15.000 euro e il 31,5% sui restanti 8.000 euro. O forse prevedono che questo aumento sia compensato dal calcolo per tutti della zona completa di esenzione fino a 8.000 euro? Vorrebbe dire pagare 0 sui primi 8.000 euro, poi il 27,5% sui successivi 7.000 e infine il 31,5% sui restanti 8.000? A quanto pare invece la zona di esenzione completa sembra destinata soltanto a chi resta sotto il tetto degli 8.000 euro annui: il che significa che questa revisione degli scaglioni comporterà un aumento del carico fiscale e non una sua diminuzione. L’esatto contrario di ciò che ha detto Draghi, giusto per ricordare il famoso mantra “ce lo chiede l’Europa”, spesso utilizzato per giustificare delle stangate economiche colossali. Tra l’altro, l’ipotesi di IRPEF del 2018 equiparerebbe ad esempio chi ha un reddito di 30.000 euro e chi ne ha uno da 100.000 euro: diverrebbe un sistema anche poco progressivo, in barba a quanto stabilisce la stessa Costituzione.
Il Partito Democratico, come si sente ripetere in questo Congresso, vorrebbe tornare a essere vicino agli ultimi, ai più poveri, a chi non riesce ad arrivare a fine mese. Pretendere di avvicinarsi diminuendo il numero degli scaglioni IRPEF e aumentando la pressione fiscale non è proprio il modo migliore per farlo. Visto che è una riforma non ancora attuata ma che è tutt’ora in discussione, perché se ne sente parlare pochissimo? Perché qualcuno non prende il coraggio a due mani e avanza una qualche idea alternativa e più vantaggiosa per tutti i redditi medio-bassi? Perché non proporre una seria revisione che porti a una diminuzione di bonus e detrazioni varie, unita a una revisione degli scaglioni IRPEF che miri a diminuire le aliquote più basse, magari tenendo quattro scaglioni invece che ridurli soltanto a tre? Ad esempio un primo scaglione fino ai 15.000 euro, il secondo fino a 30.000, il terzo fino ai 50/60.000 e poi il quarto oltre i 50/60.000. Va bene il taglio dell’IRES per le società di capitali, va bene l’abbassamento dell’aliquota della gestione separata per i professionisti senza cassa, ma i lavoratori dipendenti in busta paga vedono aumentare soltanto la cifra delle trattenute, a danno dei soldi che effettivamente percepiscono del loro stipendio. Una semplificazione del fisco è ormai irrimandabile: lo ricorda anche Il Sole 24 Ore che parla di “un labirinto di regole che crea iniquità”. Un sistema opaco che premia chi conosce e sa applicare i vari tecnicismi, spesso a danno degli stessi cittadini. Ma che dicono in merito i programmi dei tre candidati? Emiliano parla genericamente di riordino degli scaglioni IRPEF ma anche di maggior gettito IRPEF. Renzi, abbiamo detto, punta a decontribuzioni solo per giovani e per le donne. Orlando parla di “sfoltire la giungla delle 799 agevolazioni fiscali in vigore” e genericamente di rivedere l’imposizione fiscale, soprattutto riducendo il carico fiscale che grava sui redditi delle famiglie. Insomma: interventi mirati, riordino degli scaglioni ma forse per aumentarne il gettito, sfoltimento dei bonus. Ma questi redditi medio-bassi, come avranno intenzione di sostenerli? Con una nuova ondata di bonus? Non sarebbe meglio, per un partito che si dichiara fermamente riformista, puntare su una riforma fiscale vera e profonda?
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