Partiti e politici
Ansia da referendum: il rischio è perdere in qualunque caso
Per quanto si parli di partecipazione e democrazia diretta, il buon vecchio referendum continua a essere lo strumento più efficace per lasciare una scelta nelle mani del popolo. Basta mettere una crocetta sul Si o sul No per obbligare la “casta” ad adeguarsi al volere dei cittadini, che poi nella storia ci siano stati svicolamenti è tutto un altro discorso.
L’estrema semplicità del referendum, tuttavia, costituisce anche il suo limite, perché non tutte le materie sono riducibili a una scelta tra bianco e nero. Il quesito sulla riduzione del numero dei parlamentari rappresenta un esempio perfetto. Persino i più convinti sostenitori del No riconoscono che il fronte opposto ha dei motivi più che ragionevoli per proporre la riduzione dei rappresentanti degli elettori, ma lamentano che si sia arrivati al momento della scelta senza avere introdotto quei contrappesi nel sistema elettorale e nei regolamenti parlamentari che avrebbero compensato il taglio della rappresentanza.
Allo stesso modo, i sostenitori del Sì non possono negare che nel percorso siano stati saltati dei passaggi fondamentali: PD e M5S si accordano su questa riforma, la approvano in Parlamento dopo un iter difficoltoso e, contemporaneamente, avviano le procedure per questo referendum confermativo. Memorabile la dichiarazione di voto di Roberto Giachetti, il quale annuncia di votare Sì per lealtà nei confronti della maggioranza, ma che nel contempo darà vita al Comitato per il No, definendo la riforma “un tributo alla fabbrica dell’antipolitica, che viene realizzato per offrire lo scalpo agli istinti peggiori dell’elettorato”.
Sono cortocircuiti che capitano quando la logica viene sacrificata sull’altare delle alchimie politiche, molto lontani dal senso comune. La politica, al contrario, dovrebbe essere lo strumento per sciogliere i dubbi di fronte a due scelte ugualmente possibili e rispettabili, ma nel caso specifico si è fatta da parte non trovando una soluzione condivisa e ora affida la scelta al popolo. Un’operazione peraltro piuttosto rischiosa, come stanno capendo in questi giorni i vertici dei vari partiti.
Una vittoria plebiscitaria del Sì era data per scontata fino a poche settimane fa, mentre negli ultimi giorni c’è stata una forte crescita del No, dovuta sia alle sue buone ragioni, sia alla apprezzabile capacità di esporle in maniera convincente. Ancora oggi il Sì viene dato in forte vantaggio, anche perché il referendum confermativo non prevede un quorum ed è probabile che a votare andranno soprattutto i più decisi a dare una sforbiciata al Parlamento, soprattutto laddove non si vota per le amministrative e/o per le regionali.
Tuttavia, rispetto alle valutazioni iniziali, una vittoria dei favorevoli con percentuali meno che bulgare rappresenterebbe uno smacco almeno parziale per i partiti e i leader che si sono da subito schierati per il Sì. Persino più rischioso è aderire in toto alle ragioni del No, magari seguendo i numerosi segmenti del proprio elettorato che stanno scegliendo questa opzione, lasciando agli altri una vittoria che, seppure di Pirro, appare scritta.
Per entrambi i fronti, si sta materializzando lo spettro di una scelta impossibile: se una vittoria netta e soddisfacente appare improbabile, il rischio è quello di perdere in qualunque caso. Un paradosso interamente dovuto all’incapacità della politica di fare sintesi su un tema di estrema serietà, quale appunto le forme della rappresentanza democratica, il quale non andava sminuito a una mera scelta tra bianco e nero, tra casta e virtù, tra Si e No.
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