Partiti e politici
Anno 2018: Renzi vince le elezioni. Ma è disperato, il partito è tutto con lui
Leggendo di lotte intestine, sarebbe persino più preciso e rispettoso riferirsi di interiora per illustrare le camarille del Partito Democratico, il quale veleggia come un panfilo che batte bandiera renzianese verso la certificazione per statuto della Santa Espulsione dei riottosi, ci venivano in mente le parole leggere e straordinarie di Ermanno Rea, che interrogato così su Repubblica da Antonio Gnoli: “Non ti sembra un ossimoro essere napoletano e comunista?” risponde stupito e sereno: «C’è un doppio pregiudizio in quel che dici: sul napoletano e sul comunismo. L’idea che sia impensabile un comunismo allegro, umano, garbato, perfino “leggero”, fa il paio con l’idea che non possa esistere in natura il napoletano silenzioso, ordinato, malinconico, legalitario sino all’ossessione, eccetera. Il fatto che certi luoghi comuni sicuramente facilitano la vita, però non la spiegano».
Per naturale conseguenza, e anche per salvarci un po’ l’anima dai racconti minimi di corridoio, dove un certo Ettore Rosato dalle gote rosa (noi preferiamo tenere nel cuore Roberto, gemello di Rivera nel senso del 18 agosto ’43, superstopper milanista) si incaricherebbe di mettere giù insieme ad altri il nuovo statuto in cui comprendere – appunto – il definitivo cartellino rosso per chi non pensa come il capo, vogliamo tentare una proiezione impossibile, così da sbarcare direttamente nel 2018, anno in cui finalmente si celebrerà un voto nazionale. Il giorno dopo la vittoria di Matteo Renzi (sì, noi pensiamo ancora che vincerà lui), il premier incaricato darà un’occhiata in profondità alle liste uscite dalle urne e come il Papa di Moretti appena investito dalla fumata bianca, caccerà un urlo terrorizzato e molto consapevole: «Ma sono tutti renziani, chi ha fatto queste liste?» Chiamerà Rosato, Boschi, l’odiata Serracchiani (ma a chi non può stare sull’anima una viperetta così?), Filipppone @Nomfup, secondi solo a un faccia a faccia preventivo con l’amico storico del bar, il Luca Lotti, col quale convenire tragicamente che quelle liste-tisana, piene di lustrastivali, di gente che per il buon Matteo si butterebbe in un pozzo ma solo perchè gli hai dato una poltroncina, sovraccariche e celebrative, nei racconti dei medesimi, di gesta memorabili del Capo e solo del Capo, insomma che quell’idea virginale di avere finalmente un partito a tua sola immagine somiglianza è una straordinaria, enorme, incommensurabile, gigantesca cazzata!
E dopo aver parlato con gli inutili collaboratori, inutili non perchè non sappiano far nulla (su questo aspetto, certo, c’erano forti sospetti anche prima), ma solo perchè in quel momento tutti gli appariranno egualmente uguali, bianchicci come sottilette da toast, ancorché sintonizzati h24 sulla linea d’onda del numero uno, in quel momento sentirà l’aria mancare e aprendo la finestra di Palazzo Chigi su piazza Colonna sarà terribile non vederci più nessuno che sventola i fazzoletti in segno di gioia, che ha portato i suoi pargoli a vedere l’amatissimo presidente del Consiglio – «eppure ho vinto cazzo, perchè non c’è folla qui sotto?». In quel momento non gli resterà che l’ultima carta, la più sicura, la più vicina, la più consueta, l’illuminazione quotidiana, ultima spes di un orizzonte cieco: «I social, Luca, i social cazzo». E di ciò che era melodia quotidiana per le sue orecchie, composta ed eseguita magistralmente da centinaia e centinaia di musici interessati, incredibilmente non si troverà più traccia. Scomparsi, dileguati, polverizzati, tutti quei tuittaroli incalliti, onanisti da piattaforma, che ogni giorno, di quei tantissimi giorni in cui esisteva ancora la dissidenza interna, gli consigliavano senza troppa fantasia: “Fatti il tuo partito Matteo, spazzali via questi ingrati!”, “Crea il tuo Pd, ora devi girare l’Italia”, “Bravo Matteo, non perdere tempo con i gufi”. Ma come Luca, ho fatto quello che volevano loro, li ho spazzati via, ho fatto il mio Pd, perchè non cinguettano più?
Solo come un premier. Con il massimo del consenso possibile, dell’adorazione possibile, del signorsì possibile. Un mondo senza più concorrenza, nè interna nè esterna, che se ci fosse un’Authority contro il monopolio dei lustrastivali dovrebbe intervenire d’imperio. «Lucaaaaaaaa! Chiamami Speranza, fallo venire a Palazzo Chigi, pensiamo a dargli qualcosa, non so un mezzo ministero». «Mi spiace Matteo, Speranza ha lasciato la politica, gestisce un agriturismo in Umbria. Adesso è felice». È felice, questo cazzo di Speranza.
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