Partiti e politici

Andare “oltre il Pd” è smetterla di considerarsi migliori

26 Giugno 2018

Forse prima di andare oltre, sarebbe utile stare dentro con un minimo di decoro. Mentre qui, come i Tontoloni di Dav Pilkey, nei giorni della disfatta uno (Renzi) va a Londra per “incontri privati”, l’altro (Gentiloni) porta Manuela su un’isola greca per una nuova luna di miele dopo 30 anni di matrimonio, bel gesto eh ma un attimo indelicato. L’unico che resta a casetta, a Bologna, è tra tutti il vero giramondo, Romano Prodi. Che infatti si addolora. Se qualcosa nel Pd è mancato in questi anni è quel modesto tesoretto di stile a cui attingere nei momenti di difficoltà. Una forma di sensibilità, la sensibilità soprattutto delle piccole cose. Abbiamo fatto gli splendidi al 40 e passa per cento, è troppo pretendere un po’ di buona educazione adesso che siamo al 18? Diventare poveri per chi è stato molto, molto ricco, di una ricchezza conquistata in modo folgorante, ancorché repentina e in qualche modo brutale, dev’essere certamente traumatico. Renzi aveva arricchito tutti, distribuendo ricchezza, ma senza dare dividendi. Quella ricchezza che non puoi spendere, ma solo coltivare. Per essere magari ancora più ricco. In politica è così. Renzi peraltro è servito. Vi è servito. Avete sgavazzato con lui quando il banchetto era copioso, poi lo avete guardato male perché si rinchiudeva nel suo Giglio, e ancora, quando è stato chiaro che avrebbe portato la barca sugli scogli, lo avete odiato. Ma che lotta interna gli avete fatto? Ridicola. Vi siete garantita la vostra correntina, una cuccia calda che almeno portava qualche scranno alle elezioni successive. Mai una direzione combattuta. Mai un intervento diretto, forte, mai urlargli in faccia, mai spaccargliela, la faccia, se necessario. Al punto che adesso, in un partito che non è più un partito, se quello alza un dito ha ancora i numeri. Lui peraltro sta come un mezzo disperato, parla di far televisione “col suo amico Lucio Presta”, per una trasmissione “sulle bellezze d’Italia”. Siamo fuorissimi.

Questo, al momento, è lo “stare dentro” al Pd. Normale, persino fisiologico, che da più parti salga l’invocazione ad “andare oltre” il Pd. C’è un non-fenomeno del tutto clamoroso in questa comunità: come è possibile che, tra deputati, dirigenti di partito, militanti, insomma le tante persone che ci credono, tutti i giorni scorrano sempre eguali, nessuna scossa, nessuno che si incateni di fronte al Nazareno, nessuno che minacci, nessuno che pianga, nessuno che si addolori, nessuno che stracci una tessera. Ma è terribile un partito anaffettivo, privo completamente d’ogni tessuto emozionale. Renzi è stato il primo a tracciare il solco di questa assoluta aridità, l’ha tracciato soprattutto nelle sconfitte a cui non ha mai voluto dare un volto doloroso, né un corpo tormentato, si è “dimenticato” di soffrire, ma gli elettori pretendono il dolore del leader, lo esigono. Ecco, gli elettori: sono gli unici a cui il cuore batteva. E se ne sono ricordati, tornando ai seggi.

Se in queste condizioni andare oltre è persino una necessità, ai camminatori non è ben chiaro dove andare. E per fare che. Forse qualcosa si può già mettere agi atti. Andare oltre significa soprattutto smetterla di considerarsi migliori. Il considerarsi migliori, in questo tempo contemporaneo, ha solo un aggancio lontano con la superiorità morale sempre esibita dal Partito Comunista, ma ne è comunque una conseguenza. Molto si lega al nuovo scenario politico, a questo governo “terribile”, che porta con sé una serie di preoccupazioni. Faremo qui un esempio concreto del sentirsi superiori, così non perdiamo tempo. In questo momento, Repubblica, il quotidiano, sta esprimendo un sentimento di superiorità morale. Lo ha esibito da subito, dal momento della formazione del governo, non ha aspettato le prime mosse, non ha atteso il Salvini razzista dei giorni seguenti. Ne ha fatto quasi una questione di genere. Che poi il leader della Lega abbia dato buoni, buonissimi, argomenti per discutere della sua moralità, questa è solo un’aggravante.

La sinistra che si considera “migliore” e non, piuttosto, diversa dagli altri, è una sinistra che ha già perso. E in questo momento, in cui la questione umanitaria brucia sulla pelle, la tentazione di sentirsi migliori di “quelli là” è molto forte, quasi naturale. Se avete visto come l’assessore Majorino ha presentato Roberto Saviano l’altro giorno sul palco a Milano, la questione vi sarà chiara: ha parlato di “quello là”, per indicare Salvini, lo urlava al microfono, non lo nominava con il suo nome, un meccanismo che non portò eccessivamente bene a Walter Veltroni quando decise in tutta la campagna elettorale di non nominare mai Berlusconi. Ma era qualche secolo fa. La domanda è: essere umanamente più predisposti verso l’altro, che poi è questione anche cristiana, corrisponde a essere migliori o è semplicemente una disposizione del nostro animo, che ci viene da storie diverse magari, educazioni diverse? È già accaduto nella storia che quelli di sinistra si siano sentiti migliori degli altri. Era la questione morale. Per quanti anni l’ombrello del grande segretario ci ha protetto da un inesorabile, doloroso, ma benefico, processo che alla fine ci ha fatto concludere che se quelli di sinistra sono ladri, sono ladri esattamente come gli altri, rubano come gli altri, malversano come gli altri?

Resta un ultimo dubbio, però, che non sappiamo sciogliere e dunque con il sorriso chiediamo assistenza: per quanto riguarda l’occupazione del potere, la sinistra è ancora migliore degli altri o anche questo mito è caduto?

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