Partiti e politici

Almeno sulla Costituzione, risparmiamoci i pettegolezzi

25 Ottobre 2016

Nella poesia Vespro, W.H. Auden contrapponeva un modo di ragionare di politica basato sui fatti a uno basato sul pettegolezzo, ed elogiava la bellezza del secondo contro il parere del suo interlocutore e amico, che invece difendeva la serietà della prima maniera. Sarà che l’Italia è un paese di Santi, di navigatori e di poeti, ma finiamo sempre per dar ragione alla visione di Auden. Attenzione però, lui scriveva dell’Inghilterra, un paese nel quale vige lo stesso assetto istituzionale da 800 anni.

In questo momento in Italia stiamo discutendo della Riforma Costituzionale più importante dal 1948 in qua, una riforma che cambierebbe 47 articoli della Carta in un colpo solo, non proprio una materia da affidare al pettegolezzo. Sbarazziamoci in primo luogo, dunque, della vulgata che vorrebbe il vecchio ceto politico schierato sul NO per spirito di rivincita, per ripicca dopo che non gli sarebbe stato dato il ruolo che pretendeva, in forma di poltrone o altro. Quanto è in discussione riguarda più i giovani dei vecchi, per il semplice fatto che sarebbero le generazioni ancora in erba a subire gli eventuali errori di riscrittura che potremmo commettere.

Sgomberiamo anche il campo dal gossip secondo il quale i 47 articoli dell’attuale Costituzione si riformano perché nei 30 anni precedenti non si è fatto nulla, un argomento futile ancor prima che falso: 47 articoli della Costituzione solo si cambiano se, così facendo, si assicura davvero un miglioramento dell’assetto istituzionale del Paese. Ebbene, entrando nel merito, non si capisce cosa ci guadagneremmo con un Senato della Repubblica non più eletto dai cittadini, ma scelto dai segretari dei partiti (se a qualcuno sembra uno slogan parliamone, ma di fatto mi sembra che le cose stiano così quando aumenta cospicuamente la quota dei designati dalle segreterie) e soprattutto non si capisce cosa ci guadagneremmo introducendo una decina di possibili inghippi tra le due camere che attualmente sono scongiurati dal tanto vituperato bicameralismo perfetto. So bene che le opinioni degli esperti, su qualsiasi materia, non sono di moda, ma poniamoci il seguente problema:

Se una cinquantina tra i più prestigiosi costituzionalisti italiani ha rilevato possibili strozzature che renderebbero ancora più complicato il cammino delle leggi, non è forse il caso di risolverli con una stesura più chiara invece di additare i suddetti costituzionalisti d’immobilismo?

Questa riforma sembra concepita per favorire i dirigenti e non per stimolare la partecipazione popolare alla vita del Parlamento. Questo si evince dal fatto che sarebbero i capi partito a scegliere i senatori tra gli amministratori locali, che dovrebbero peraltro raddoppiare il loro carico di lavoro, con risultati dei quali la diffidenza mi suggerisce di dubitare. Sembra un argomento fondato, non è così? A me lo sembra, ma il suo merito maggiore in realtà è un altro: è stato avanzato da alcuni Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, che non possono ambire a poltrone di alcun tipo, una volta tanto, visto che hanno già occupato la più prestigiosa se si esclude la Presidenza della Repubblica.

Possiamo ascoltare il loro parere e pretendere che ci sia un consenso accettabile su cambiamenti di questa portata, o siamo condannati a inventarci un pettegolezzo su ognuno dei critici alla Riforma Costituzionale al fine di screditarlo?

Al di là delle voci di corridoio, insomma, appare chiaro che siamo in presenza di una riforma strutturale della nostra Costituzione che non conta sull’appoggio minimo necessario per interventi simili. Se si vuol farla ugualmente, tirar dritto come suol dirsi, d’accordo, ma non si dica che è per creare un Senato Federale, perché quello che si configura è un combinato di competenze ignoto al Diritto, e non si dica che si abbattono i costi della politica: le Costituzioni non servono a questo e, al netto, si risparmierebbe una cifra inutile.

Solo si dovrebbe decidere sulla base di argomenti, e sul fronte del Sì (sia detto en passant, ma non credo sia bel segnale che vi siano due fronti contrapposti sulla Costituzione) la loro totale subalternità mi ha ricordato un racconto di Federico De Roberto, Il Rifugio: un capitano dell’esercito italiano uscito in missione, a un certo punto, ha la netta sensazione che i colpi di cannone siano annullati da un violento temporale. Ebbene, in questa campagna referendaria gli argomenti del SÌ sono del tutto simili a quei colpi di cannone: passano in secondo piano. Il vero tema di discussione, la bontà di questa Riforma, viene costantemente scartato per analizzare invece gli effetti a medio termine del possibile esito del voto.

Siamo davanti a un rarissimo caso di Riforma Costituzionale che neppure i promotori badano difendere. Non c’è alternativa, si dice. Meglio questo di nulla, si argomenta: o noi o il caos. Vi sembrano argomenti seri per approvarla?

Purtroppo una simile strategia non è casuale. L’unica ragione per la quale si vorrebbe approvare questa Riforma Costituzionale, e non una diversa che avrebbe potuto giovarsi di un consenso molto più ampio, e non soltanto sul fronte democratico, è che la si vuole usare come spartiacque. Dopo il successo del Sì esisterebbe solo un perno politico: l’attuale maggioranza di Governo. Uno schieramento che ha già il nome virtuale di Partito della Nazione e che vorrebbe ridefinire il perimetro di gioco con la dichiarata intenzione di costituirne il centro nevralgico e propulsore.

Anche chi la critica, si dirà, alimenta il temporale che nasconde i veri argomenti a difesa del NO. È in parte vera anche questa argomentazione, dal momento che non pochi tra i fautori del NO si sono pronunciati così proprio per scongiurare quanto detto sopra. Pur avendo argomenti più validi da spendere per giustificare il NO, lo fanno anche e soprattutto per impedire l’avverarsi di un Partito della Nazione vincente, saldamente avviato verso l’affermazione alle prossime elezioni. Si dovrà tuttavia ammettere che questo contesto è stato creato da chi vorrebbe usare la Costituzione come leva per l’acquisizione di consenso, come acceleratore di voti, invece che come terreno di confronto e confluenze.

Una riforma non esaltante, per andarci piano, a detta dei suoi stesso ideatori. Ebbene, con il poco cielo sereno che ci rimane, diciamo chiaramente che s’intravedono più ragioni per votare NO che per votare SÌ, a meno che non si voti SÌ per avvallare un progetto che non ha niente a che vedere con la Costituzione, o che si voti per sentito dire, come se si trattasse di farsi un’opinione sulla vicina del terzo piano.

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