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Allargare il target, ma senza perdere l’identità

23 Ottobre 2016

Cos’hanno in comune Matteo Renzi, Manuel Agnelli e Paolo Sorrentino?

Poco, francamente, se si esclude il tentativo di “allargare” il proprio target, operazione che peraltro può riguardare chiunque. In qualunque campo si operi, infatti, tale passaggio fa parte di una naturale evoluzione, che può originare dalla necessità di andare ad aggredire un nuovo mercato o semplicemente da un aumento di popolarità che fa uscire dalla propria abituale nicchia di riferimento.

Per quanto possa essere esaltante, questo passaggio non è sempre facile e, anzi, richiede delle particolari abilità per evitare che si trasformi in una mossa controproducente. Ho scelto di citare due artisti perché nei loro rispettivi campi è tipico che assurgere ad un livello superiore di celebrità possa generare dello scontento nello “zoccolo duro” dei propri fans.

La partecipazione di Agnelli a “X Factor” ha destato un certo stupore, in quanto il cantante degli Afterhours è passato in un lampo dallo status di artista “cult” ad un ruolo di massima esposizione nel programma musicale di maggior successo degli ultimi anni. Se da un lato questo gli ha conferito una visibilità precedentemente impensabile, dall’altro ha stimolato perplessità tra i “duri e puri”, quelli che contesterebbero volentieri anche la definizione di “programma musicale” che ho appena dato al talent.

L’accusa di essersi venduti alle logiche commerciali accomuna, prima o poi, tutti gli artisti che ottengono riscontri di pubblico superiori a quelli a cui erano abituati. Un altro caso molto rilevante degli ultimi anni è quello di Paolo Sorrentino: molti fan della prima ora, che si erano innamorati di film come “L’uomo in più” e “Le conseguenze dell’amore”, sono rimasti disorientati dall’ondata di popolarità che ha investito il regista napoletano dopo l’Oscar vinto nel 2014 con “La grande bellezza”. Nonostante l’interregno di un film non certo banale come “Youth – La giovinezza”, si è persino sentito chi definiva sprezzantemente “un’americanata” la serie televisiva “The young Pope”.
E prima ancora di vederne l’esordio su Sky.

D’altronde, anche questi disconoscimenti in corsa sono una forma di amore, sentimento al quale si lega sempre almeno un po’ di gelosia. Sono innumerevoli i casi di figure pubbliche alle quali viene fatta una colpa del successo ottenuto, come se vi fosse un legame diretto tra l’essere “nazionalpopolari” e riscuotere consensi positivi: se fosse davvero così, lo farebbero tutti.

Ma cosa c’entra Renzi? Anche in politica la capacità di andare oltre gli steccati tradizionali può fare la differenza tra il successo ed il fallimento. Ciò è particolarmente vero nel caso di un referendum, che per sua natura non ammette sfumature: o di qua o di là. E’ quindi inutile scandalizzarsi quando il Premier dice che per raggiungere il suo obiettivo (la vittoria del “sì”) intende corteggiare gli elettori del centrodestra, perché sta semplicemente descrivendo una situazione oggettiva.

Il vero problema è come li si corteggia e l’iniziativa del sito bastaunsi.it in effetti giustifica il fatto che diversi iscritti al PD (a partire dal Senatore Gotor, il primo a parlarne pubblicamente) si siano scandalizzati.

Il pomo della discordia è rappresentato dall’articolo intitolato “I punti in comune tra riforma costituzionale e programma del PDL 2013”, pubblicato lo scorso 11 ottobre. Quattro giorni prima era stato pubblicato un articolo molto simile che, con lo stesso schema nel titolo e nella grafica, metteva in luce le analogie tra la proposta Renzi/Boschi e il programma del Movimento 5 Stelle per le stesse elezioni 2013.

L’obiettivo di tale iniziativa è evidente ed anche comprensibile: convincere gli elettori di questi due partiti che sarebbe opportuno uscire dallo scontro di posizioni e sostenere una riforma che, nel merito, corrisponde anche ai loro auspici. Esattamente come ho scritto la scorsa settimana, a proposito dello spot di Virginia Raggi per il “no”, non è mia intenzione esprimere in questa sede un’idea politica sul Referendum, ma semplicemente fare considerazioni tecniche su come si muove la comunicazione degli schieramenti in campo.

Anche in questo caso, si rilevano errori piuttosto grossolani, perché inevitabilmente un messaggio di questo tipo, con tanto di simbolo del PDL in bella vista, dà fiato a chi sostiene che tra Renzi ed il centrodestra, nelle sue varie forme, vi possa essere un abbraccio mortale. Ancor più che nell’arte o in altre forme di comunicazione, la politica vive di senso di appartenenza e, laddove già preesiste un dubbio sulla coerenza rispetto ai valori tradizionali del centrosinistra, questa scelta rappresenta una leggerezza imperdonabile. Se si viene identificati come una pallida imitazione di qualcosa di già conosciuto (e oltretutto non gradito), è praticamente ovvio che l’elettore preferisca rivolgersi all’originale. E comunque non a te.

In casi del genere, non è certo opportuno sottolineare la somiglianza tra i programmi di forze contrapposte, ma semmai la maggior forza di chi sta proponendo il nuovo passaggio: “loro non ne sono stati capaci, noi lo facciamo davvero”. In questo schema (applicabile ad esempio anche al federalismo, sulla quale la Lega ha oggettivamente deluso le aspettative di molti suoi elettori), è possibile andare a prendere i voti del campo avverso.

Guai a snobbare i voti di chi ha idee diverse dalle proprie: questi, anzi, vanno inseguiti con particolare abilità, perché vengono tolti agli avversari e quindi valgono doppio, come i gol in trasferta nelle coppe europee. Ma se si sbaglia a comunicare, generando inopportune confusioni, si rischia al contrario di perdere anche i propri.

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