Partiti e politici

Tutti gli uomini che possono fare il Presidente

16 Gennaio 2015

Ospitiamo con piacere su queste colonne un contributo prezioso e brillante di Simone Santucci, Capo ufficio stampa del Partito Liberale, sulla storia delle elezioni al Quirinale. In rapida successione, vengono tratteggiati i volti, umani e politici, di coloro che precedettero Giorgio Napolitano al Colle e che contribuirono a rendere il Presidente il vero perno della repubblica

 

Alla fine è accaduto quello che molti avevano previsto: anche stavolta Matteo Renzi “last minute” sarà il protagonista di un’elezione al Colle al cardiopalma, la degna replica del Quirinal-thriller che nel 2013 aveva mietuto vittime eccellenti e le cui conseguenze sono a tutt’oggi evidenti.

Ma perché l’elezione dell’inquilino del Quirinale è così importante?

I poteri che la Costituzione affida al Presidente potrebbero sembrare pochi e relativamente incisivi. Eppure, dal 1948 hanno subìto espansioni e contrazioni, dovute principalmente a due fattori: la personalità del Presidente e il momento storico contingente. La storia “quirinalizia” ha visto susseguirsi nel tempo personalità come De Nicola, Einaudi, Gronchi, Saragat, Leone che raramente osarono inserirsi direttamente nel dibattito politico.

Non a caso sono altri i Presidenti che hanno lasciato veramente il segno nella memoria degli attenti osservatori: Pertini, per la sua forte personalità; Cossiga, per gli ultimi due anni di mandato vissuti a picconare tutti e tutto; Scalfaro, per il ruolo decisivo nella transizione dalla prima alla seconda repubblica; infine, Napolitano per l’assunzione di una vera e propria iniziativa politica nell’agenda quotidiana del governo.

Nessuno, tra i vari presidenti succedutisi nella storia repubblicana, aveva precedentemente ricoperto, però, (ad esclusione di Saragat) una leadership di partito forte e diretta. Una regola non scritta, che i grandi elettori hanno sempre rispettato (per ragioni diverse) a costo di bruciare candidati autorevoli, ma ugualmente ingombranti.

La storia di Amintore Fanfani, bruciato per ben quattro volte, è emblematica. Eterno candidato della D.C., fu costretto sempre a ritirarsi dopo essere stato sistematicamente impallinato dai suoi “amici” democristiani.Nel 1971, fu proprio lui a leggere la famigerata scheda nella quale uno dei franchi tiratori scrisse “nano maledetto, non sarai mai eletto”. E, infatti, al ventitreesimo scrutinio elessero Leone, l’inventore dei “governi balneari”. Mai si erano tenuti tanti scrutini nella storia repubblicana.

L’elezione di Pertini, avvenuta subito dopo l’assissinio di Moro, fu ugualmente lunga e incerta. Dopo un testa a testa iniziale tra Gonella e Amendola, solo al sedicesimo scrutinio si perfezionò l’accordo sul nome del partigiano Pert. Nessuno avrebbe mai immaginato che quell’arzillo ottantenne avrebbe cambiato per sempre il ruolo che la Costituzione aveva disegnato per l’inquilino del Colle. Pertini applicò materialmente ciò che Mortati aveva definito “teoria della Costituzione materiale”. Nominando ben cinque senatori a vita, operò il primo di tanti strappi. I suoi frequenti interventi nel dibattito politico (ormai dati per scontati con Napolitano presidente) fecero scalpore tanto da far pentire al gruppo dirigente di D.c. e P.s.i. di averlo sostenuto. Impose per la prima volta un laico (e non democristiano) a Palazzo Chigi e spianò la strada, non senza dissidi, alla parabola craxiana.

 La storia di Cossiga, invece, rimarrà per sempre un enigma. Di fatto invisibile per cinque anni, cominciò “a dar di matto” (Craxi dixit) negli ultimi due. Un biennio incredibile e pazzesco, unico e irripetibile: tra anatemi, messaggi alle camere, decreti da firmare chiusi nel cassetto e un lungo dissidio con Andreotti, Forlani e Craxi, che si preparavano a succedergli nel 1992, l’anno spartiacque della nostra storia recente.

Già, il 1992.Quei sedici scrutini per eleggere il successore di Cossiga furono, senz’ombra di dubbio, i più drammatici nella storia della repubblica parlamentare. Bruciato Spadolini (che aveva già preparato il discorso d’insediamento), fu la volta del duello, tutto democristiano, tra il “coniglio mannaro” Forlani e il “fanciullo” Andreotti. Entrambi bramosi di Quirinale; entrambi ufficialmente indisponibili, verranno fatalmente bruciati dalla clamorosa uccisione del giudice Falcone.

Uscì fuori Scalfaro, uomo della Costituente e parlamentare lontano dalla ribalta, che si dimostrò, quanto a tempra, un’altro Pertini. Meno simpatico certo, più arcigno e, forse, più subdolo. Berlusconi lo detesta ancora oggi.

Insomma, ciò che ricordiamo della disputa del 2013, non è affatto un unicum nella storia delle elezioni “quirinalizie”. È certo pensare che siano precedenti destinati a ripetersi anche oggi, dove le fratture interne agli schieramenti sono più profonde di quelle esterne. Che Renzi lo accetti o meno.

 

 

 

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