Partiti e politici

Agendina per il rientro: Fare (per Fermare i cretini)

18 Agosto 2018

Qualche giorno fa nei monti dell’Ogliastra insieme a mio figlio Tommaso ho fatto un’esperienza straordinaria, che nessuno di noi dimenticherà. Di ritorno da una passeggiata in montagna siamo incappati in un pranzo di pastori e amici, che vedendoci ci hanno invitato a dividere con loro un menu infinito e straordinario di cinghiale, ovini a metri zero, Cannonau e un formaggio delizioso e segreto di cui non posso dire di più. Era un grande tavolata intergenerazionale (e assolutamente, rigorosamente maschile) in cui ognuno esprimeva con passione il proprio essere parte di una comunità che si ritrovava in un rito antico, reso ancora più suggestivo dall’utilizzo da parte di tutti del proprio coltello sardo personale e di cui eravamo spettatori gaudenti e affascinati. Tra un meraviglioso boccone e l’altro ho parlato del più e del meno con il nostro dirimpettaio, che chiamerò Mario. Mario è tornato nel paese, una meraviglia di canyon e vigneti che richiama scalatori da tutto il mondo, dopo un periodo in Germania come operaio perché comprensibilmente gli mancava e oggi è contento di stare dove è nato e di ripetere riti straordinari quali quello a cui abbiamo avuto la fortuna di partecipare. Saputo che eravamo milanesi, Mario ha tenuto di dirci che lui, come il 30% del paese, alle ultime elezioni aveva votato Salvini “per protesta”. Non ho approfondito, perché siamo passati al capretto e soprattutto perché quando si mangia bene non si parla di politica, ma la protesta di Mario mi è rimasta in mente e mi ha accompagnato nel resto del mio giro della Sardegna, alla deliberata ricerca di luoghi off the beaten track.
A ripensare alle parole del mio occasionale commensale ha molto contribuito anche la contemporanea lettura di un libro bello e inquietante, che consiglio: “L’Esperimento. Inchiesta sul Movimento 5 Stelle” di Jacopo Iacoboni. Si tratta di una inchiesta vecchio stile, inquietante e documentatissima, sulle dinamiche che hanno portato alla nascita e alle sviluppo dei 5 Stelle, appunto come “Esperimento” di manipolazione del consenso attraverso gli strumenti della Rete, unendo le teorie di uno scienziato pazzo (Casaleggio Sr.) con un corpus crescente di immondizia antidemocratica quando non fascista che viene dalla Russia di Putin e dall’alt.right americana e che accomuna i 5 Stelle alla Lega di Salvini in modo non casuale. Se prima di leggere il libro pensavo che i 5 Stelle fossero una massa di dementi accrocchiata alla meno peggio e finita al governo per i rimbalzi della Storia, oggi penso che siano un esercito di dementi parte di una stagione di inaudito attacco alla democrazia innanzitutto a base di massicci bombardamenti di imbecillità.
Ho terminato il libro il giorno prima della tragedia di Genova, che ha dato la stura al peggio di quanto la compagine attualmente al Governo è sinora stata in grado di esprimere in termini di mancanza di stile, improvvisazione, falsità, cialtronismo, che, a dar retta al libro, non è solo conseguenza della mediocrità diffusa ma di un approccio sistematico alla disinformacjia e in generale al buttarla in caciara.
Genova mi ha come tutti sconvolto e molto preoccupato. Cadeva un simbolo di una stagione di ottimismo per le sorti del Paese attraverso il suo sviluppo architettonico e industriale e a raccogliere i rottami c’era una società, civile, economica e politica, che aveva messo al comando i più italoscettici da tempi di Metternich, frutto deteriore della lunga e pessima stagione del NO a tutto, iniziata molti anni prima dalle parti della sinistra.
Genova soprattutto mi ha fatto pensare che, pur non avendo ruoli pubblici, per il solo fatto di avere scommesso sullo sviluppo del Paese e non sulla sua rovina avrei dovuto fare qualcosa, ad esempio immaginare un’agendina anti-questi-figuri di tre punti tre, buoni propostiti del rientro, italottimisti e slowpolitics, da dare in pasto ai lettori de Gli Stati Generali certo che sapranno farne buon uso.

Perché questi sono pericolosi, davvero, loro e i loro ispiratori.

In primo luogo è necessario riconnettersi alle comunità dei Mario, sottraendoli a chi specula sul loro smarrimento. Sono abbastanza vecchio per ricordare quando i leader della Lega non facevano selfie con la mozzarella di bufala ma inveivano attivamente contro i terroni come Mario, ma sono anche abbastanza vecchio per ricordarmi che da troppo tempo il campo liberal-democratico-europeista-socialista (aka “i buoni”) non ha investito sulle comunità locali. Investire sulle comunità locali non significa fare la mancia dell’autonomia e del federalismo (che se non è supportata da una classe dirigente di provincia ma non provinciale significa libertà di essere straccioni a casa propria), ma riconoscere che l’Italia è un’enorme Marioland con una Capitale europea e una grande città mediterranea e poco altro e che per non scollarsi il paese deve connettere le comunità locali ai grandi centri, certamente modernizzando ma senza svuotare Marioland o farne semplicemente una città che non ce l’ha fatta. Di più, poiché il Paese non si può permettere lo spopolamento di intere aree bisogna investire strategicamente nella creazione di condizioni per la permanenza, il ritorno o l’insediamento di risorse preziose nei territori periferici e perché questo non sia una scelta di ripiego ma di qualità della vita e di risposta alle legittime aspirazioni di ognuno. Vale per Mario ma anche per Riccardo Porta, artigiano del pane assai creativo e studiato che dopo laurea e master in continente è tornato in Sardegna o per i freeclimber belgi che hanno aperto un b&b sulle montagne e richiamano appassionati dell’arrampicata da tutto il mondo. La parola magica è “Congiunzioni”, di persone, esperienze, risorse, per permettere alla provincia di tornare ad essere un buon posto dove vivere e non semplicemente “non città” marginalizzata e terreno di caccia dei flaccidi imbroglioni che si autoritraggono. Congiunzioni vuol anche dire utilizzare sapientemente risorse preziose e ad alto valore aggiunto, come la conoscenza e la tecnologia, che non si trovano in loco ma in reti più lunghe e lontane per dare strumenti di sviluppo alle aziende locali, comunicare la meraviglia di territori periferici e anche, perché no, garantire la manutenzione dei beni comuni come le montagne, le foreste e il territorio. Per fare tutto questo non bastano i denari, serve a monte una nuova visione del Paese e del suo possibile localismo buono da contrapporre ai sovranisti italoscettici: non tutta l’Italia è uguale, non tutti devono andare alla stessa velocità, lavorare come Marchionne e avere la medesima tensione alla globalità, è legittimo e anzi necessario che la modernità e la tecnologia consentano alle persone di vivere bene nei luoghi che scelgono.
Riconnettersi alle comunità vuol dire, ed è il secondo punto, anche riconsiderare il rapporto con la tecnologia e soprattutto con la comunicazione digitale. Qui ci viene in soccorso il libro “L’Esperimento” laddove spiega come la Rete sia ormai da tantissimo tempo oggetto di sperimentazione su come influenza le persone cognitivamente più fragili. Qui non si tratta più del quantum di comunicazione digitale da colmare, come pensano con qualche lustro di ritardo i dirigenti politici democratici, ma di una modalità di gestione della folla per via digitale che è ipso facto della destra peggiore nel suo disprezzo per le persone, gonzi da manovrare o carne da cannone per campagne apertamente antioccidentali e antilluministiche. Dico di più, pensare ad un utilizzo democratico della monnezza della Casaleggio o della Bestia di Salvini è come immaginare una versione democratica del KGB, al meglio una perdita di tempo. La comunicazione digitale della nuova destra populista internazionale, di cui Lega e M5S fanno parte, fa strame del motto einaudiano di “conoscere per deliberare” in favore di una gestione scientifica della rabbia e dell’ignoranza, ossia quanto di più antiprogressista ci possa essere. Sono mestatori professionali, applauditi ai funerali e che non vedrete mai ad un’inaugurazione perché per quella non bastano le fake news, ci vuole la politica, che è eccitazione delle masse ma anche progettualità e contatto con le persone, che non può essere virtualizzato non perché non sia possibile, ma perché non è democratico nel senso della democrazia che libera (le persone) e delibera (le politiche) che abbiamo conosciuto e apprezzato. Innamorato professionalmente e personalmente delle tecnologie digitali e dell’innovazione non voterò mai un candidato che non si ponga il problema di portare l’innovazione nelle piazze, nelle botteghe e tra le persone con lo scopo di costruire (e non disgregare) comunità e liberare le persone dalla superstizione e dall’ignoranza. Trovare un nuovo paradigma alternativo a quegli attuali oggi è difficilissimo, ma io credo al governo dei migliori e penso che con un po’ di impegno ce la si possa fare.
Fare, non raccontare, è il terzo punto cerchiato in agenda. Da un po’ di tempo mi sto sempre più convincendo che lo storytelling delle cose che funzionano sia ormai una consolazione borghese e non la base di un programma d’azione. Per le meraviglie che costantemente questo Paese produce in termini di sviluppo, innovazione, creatività, bellezza, modernità e cosmopolitismo da Nord a Sud dovremmo essere immuni dal Medioevo nel quale stiamo precipitando. Lo storytelling edificante e la testimonianza inspirational sono carini ma non servono più. Chi sa, chi ha fatto, chi conosce deve necessariamente uscire dalla propria bolla e fare qualcosa, qualsiasi cosa che non sia indignarsi all’aperitivo ma scrivere, sostenere un progetto di sviluppo locale, parlare in una scuola. Vale per un intellettuale ma anche per gli imprenditori, che devono capire che presto i mercati presenteranno il conto non solo ai robbing barons della Borsa, ma anche ai loro mobili, alle loro scarpe, ai loro tondini.

Sarà meglio che anche loro si muovano, perché il governo dell’Esperimento ha un solo aspetto veramente egualitario: non conviene a nessuno.

(La foto é mia, offro una birra Ichnusa al primo che indovina cos’è)

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