Beni comuni
Ada Colau, un anno dopo. Quando una “noglobal” diventa sindaca
Un paio di settimane fa Roberto Biorcio su La Lettura faceva notare come il World Social Forum del 2016, tenutosi a Montréal nella prima metà di agosto, sia risultato partecipato e ricco di eventi, come ogni anno, ma sembri non suscitare più alcun interesse nei media, e aver perso centralità sulla scena politica.
Ripercorrendo brevemente la storia del cosiddetto movimento “no-global”, dalla sua comparsa sulla scena a Seattle nel 1997, passando per le terribili giornate di Genova del 2001, per arrivare alla mobilitazione internazionale contro la guerra in Iraq ad inizio 2003, Biorcio sottolinea come a partire da quel momento il movimento non sia riuscito a mantenere rilevanza politica: forse perché la tanto criticata globalizzazione neoliberista è stata a un certo punto data per scontata, forse perché i partiti di sinistra e centrosinistra non si sono dimostrati buoni interlocutori, privilegiando ipotetiche “terze vie” o addirittura muovendosi nell’ambito di “grandi coalizioni” con le forze di centrodestra.
Tuttavia, ricorda l’articolo, negli ultimi anni, caratterizzati dalla crisi economica e dalle difficoltà della politica a dare risposte all’impoverimento del ceto medio e alla crescita delle diseguaglianze, sono apparsi parecchi movimenti – e parecchi leader – che hanno mostrato di aver fatto propri temi e approcci tipici del movimento dei movimenti. Dagli indignados spagnoli del movimento 15M a Occupy Wall Street, la questione della diseguaglianza che lascia in povertà un numero crescente di persone è tornata centrale.
E anche a livello più propriamente politico, molte delle esperienze più recenti mostrano un legame non occasionale con la stagione no-global: a partire dalla esperienze sudamericane che con quel movimento hanno un legame rivendicato, da Lula in Brasile a Chavez in Venezuela a Morales in Bolivia a Mujica in Uruguay – esperienze diverse fra loro, naturalmente, e che hanno mostrato, a essere generosi, limiti non da poco, come si può facilmente osservare seguendo le più recenti evoluzioni delle situazioni in Venezuela e Brasile – per arrivare all’esperienza di Podemos in Spagna o a quella di Syriza in Grecia. Anche il Movimento 5 Stelle, pur non avendo mai proclamato una diretta discendenza dal movimento altermondialista, riflette in alcune delle sue proposte l’eco di quella stagione.
Persino in alcuni tradizionali partiti di centrosinistra, prosegue Biorcio, ci sono spinte potenti verso un profondo cambiamento: Corbyn in Inghilterra chiede al Labour di abbandonare completamente il profilo neoliberista assunto nell’era Blair, e Sanders negli Stati Uniti ha scosso profondamente il Partito Democratico, portando all’interno della competizione delle primarie presidenziali molti dei temi espressi da Occupy Wall Street.
Per seguire in un caso specifico l’evoluzione che porta dai no-global alle esperienze più recenti di movimenti di alternativa radicale, può essere interessante guardare alla vicenda di Ada Colau, diventata nel giugno 2015 sindaca di Barcellona.
Il libro che le hanno dedicato Giacomo Russo Spena e Steven Forti (Ada Colau, la città in comune) ne ripercorre la biografia ed il tragitto politico, ed è una guida utile per evidenziare le molte continuità che lo caratterizzano rispetto al movimento no-global, ma anche i punti di scarto rispetto a quell’esperienza.
Innanzitutto, l’incontro con il movimento no-global modifica l’approccio di Colau alle questioni politiche: nel corso della sua esperienza Erasmus italiana, alla fine degli anni novanta, ha una posizione di tipo liberale, molto avanzata sul piano dei diritti individuali ma decisamente più moderata riguardo alle questioni sociali; è proprio l’emergere del movimento prima a Seattle e poi a Genova, che la porta a radicalizzare il suo punto di vista.
Nel corso della sua esperienza di attivista sociale, prima, e di candidata e sindaca, poi, Colau si trova anche ad affrontare nella quotidianità alcuni dei nodi su cui i no-global hanno molto discusso – come ogni movimento, in effetti – senza riuscire a giungere a conclusioni soddisfacenti: i nodi della politica e del potere.
Uno dei libri che ha avuto più risonanza all’interno del movimento, una quindicina di anni fa, è stato quello di John Holloway, “Cambiare il mondo senza prendere il potere”. Un titolo che ha finito per diventare rapidamente uno slogan, e uno slogan che è stato interpretato spesso nella maniera più ingenua: nella mente del militante medio di quel movimento, si è ritenuto possibile cambiare radicalmente il mondo semplicemente ignorando il nodo del potere, quasi che l’autorganizzazione della società fosse in grado di creare zone “liberate” dalle dinamiche sociali ed economiche dominanti, che sarebbero in qualche modo diventate residuali fino a sparire, insieme alle forze che le avevano sostenute.
Da questo punto di vista, l’approccio di Ada Colau e del gruppo raccolto attorno a lei sembra decisamente più pragmatico; anzi, proprio l’esperienza di attivista sociale, nel movimento per il diritto alla casa, la convince che è necessario impegnarsi anche a livello istituzionale: “Bisogna recuperarle [le istituzioni] per metterle al servizio della gente e per aggiornare il sistema democratico”, dice nell’intervista che apre il volume. E aggiunge che dall’inizio il percorso di Barcelona En Comù (la piattaforma creata in vista della campagna elettorale del 2015) ha avuto come obiettivo non quello di portare una rappresentanza in Consiglio Comunale, ma quello di vincere. L’obiettivo di vincere è stato fin da subito realistico perché tutto il processo è avvenuto in un momento di collasso, o per lo meno di profonda difficoltà, del sistema politico tradizionale, che ha aperto grandi spazi a chi ha saputo intercettare le domande di cambiamento e il desiderio di partecipazione della popolazione, al di fuori degli schemi e delle appartenenze di schieramento codificate fino a quel momento. A testimonianza di ciò, non solo la partecipazione popolare alla campagna elettorale, ma anche il calo dell’astensionismo: rispetto alla precedente tornata elettorale, quasi dieci punti percentuali in più di partecipazione al voto, soprattutto nei quartieri a reddito più basso.
Se Colau e i suoi sostenitori non si sono chiusi in un ingenuo e snobistico rifiuto della presenza istituzionale, sembra siano anche consapevoli di come la conquista del municipio non sia altro che il punto di partenza di un percorso estremamente tortuoso e pericoloso: la difficoltà di poter rispondere in tempi rapidi ad aspettative troppo elevate, e i limiti di tipo finanziario e legislativo che un sindaco si trova a fronteggiare, sono i migliori alleati di chi attende seduto sulla riva del fiume il fallimento di questa esperienza, e di quelle analoghe che nella stessa tornata elettorale si sono avviate in altre città spagnole.
Lo stimolo e la critica della continua partecipazione popolare, che Colau sollecita anche attraverso l’utilizzo della piattaforma digitale decidim.Barcelona, sono gli strumenti con cui si tenta di affrontare questa difficoltà.
Anche in questo ambito, si può sentire l’eco delle riflessioni no-global sui limiti della democrazia rappresentativa, e sul bisogno di innovarla attraverso strumenti “partecipativi”. Quella che una quindicina di anni fa poteva sembrare una preoccupazione esagerata, è diventata senso comune.
Una tema ulteriore su cui si può misurare l’eredità ma anche l’evoluzione rispetto al movimento no-global è quello della leadership. Nella intervista già citata, Colau stessa ricorda che il tema della visibilità dei singoli ha una lunga e dibattuta storia all’interno dei movimenti sociali; e non nega l’utilità di leader che siano “positivi ai percorsi collettivi”. Non è nulla di clamoroso, e difficilmente nel 2016 si può trovare qualcuno che neghi, in buona fede, l’importanza di un leader capace e attrattivo. Ma è certo una novità per molti ambienti di sinistra e movimentisti, che hanno sempre rifiutato a priori la questione, arrivando fino a manifestazioni bizzarre come fu la presenza del “candidato senza volto” alle primarie che nel 2005 incoronarono Prodi leader del centrosinistra.
Vedremo se il tentativo di Barcelona En Comù avrà successo, e se davvero dalle città potranno nascere esperienze in grado di riprendere la battaglia per “un altro mondo possibile” che è sembrata interrompersi molti anni fa.
Sicuramente i sindaci che si muovono al di fuori del schemi politici tradizionali, in città di peso e dimensioni rilevanti (in Italia è naturale pensare pensare a Virgina Raggi e Chiara Appendino, ma forse anche a Luigi De Magistris), rappresentano un elemento di novità che può essere interessante seguire.
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