Partiti e politici
Accoglienza e riconoscenza
Il surreale dibattito di queste ore, scaturito dalle infelici dichiarazioni di Debora Serracchiani, mi ha fatto tornare alla mente la missione italiana in Somalia che si è svolta dal 1992 al 1994, ed in particolare i fatti accaduti nel campo di Johar, documentati da uno storico servizio di Panorama che mostrava alcuni dei nostri “gloriosi” militari della Folgore impegnati a torturare un uomo con scariche elettriche sui testicoli e a stuprare una giovane donna, Dahira Salad Osman, inserendo nella sua vagina un ordigno militare. Certamente si trattò di un “caso limite”, da non mettere assolutamente in relazione con ammirevole lavoro svolto dalle nostre forze armate nelle zone di guerra, ieri come oggi. Ma numeri alla mano, a fronte di migliaia di stupri che avvengono sul territorio nazionale ad opera di cittadini italiani (in molti casi parenti stretti delle vittime) è un “caso limite” anche quello della diciassettenne di Trieste, rapinata picchiata e stuprata da un richiedente asilo iracheno di ventisei anni, fatto di cronaca che ha ispirato la reazione istintiva della presidente del Friuli Venezia Giulia.
Una domanda non banale che tutti dovremmo porci di fronte alle quotidiane immagini dei barconi di disperati che arrivano sulle nostre coste o affondano nella gigantesca fossa comune che è diventato il Mar Mediterraneo, è quanto il sentimento di riconoscenza che prova un migrante verso il paese che lo ospita possa essere più forte del rancore che prova quello stesso migrante quando è costretto a partire per responsabilità più o meno gravi di chi lo ospiterà. Perché quando si parla e si straparla di migrazioni, che esse avvengano a causa di guerre o per motivi economici, non si può non guardare alle ragioni che spingono queste maree umane a spostarsi. Con un po’ di attenzione, non è difficile accorgersi che l’accoglienza non è una concessione o un atto di misericordia e non è neanche un dovere imposto dall’alto. È solo un piccolo e insufficiente risarcimento.
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