Partiti e politici
A Matteo Salvini non riesce più il giochino di fare l’opposizione dal Governo
Il giochino del partito “di lotta e di Governo” (riprendendo un’espressione di un’altra era politica) non funziona più. Sembrano ormai lontanissimi i tempi di quella maggioranza giallo-verde in cui, tra una sagra di paese e un Consiglio dei Ministri, l’allora Vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, utilizzava la sua presenza nell’esecutivo per rastrellare facili consensi nella doppia veste di uomo delle istituzioni eterno assenteista e uomo in felpa ebbro di calorie.
Il primo strappo tra il “capitano” e Mario Draghi si consuma la mattina del 21 aprile, giorno del compleanno di quella Roma che i leghisti, fino a pochi anni fa, chiamavano con disprezzo “ladrona”: il Consiglio dei Ministri, convocato in serata, deve dare il via libera al nuovo decreto sulle riaperture e il leader del Carroccio, come ai tempi d’oro, prova ad alzare la posta chiedendo di spostare il coprifuoco dalle 22 alle 23 e di non fare differenze tra ristoranti al chiuso e all’aperto. Niente da fare: Draghi non si smuove di un millimetro e non cambia di una virgola il provvedimento su cui i partiti avevano già trovato l’accordo. A quel punto un Giorgetti in evidente imbarazzo è costretto ad annunciare l’astensione della Lega facendo calare il gelo in sala.
Secondo fonti bene informate, in realtà l’unico “punto” che il leader leghista voleva portare a casa era lo spostamento del coprifuoco alle 23, per poter andare all’incasso con quei ristoratori più o meno disobbedienti che sta illudendo da un bel po’, promettendo loro fine dei divieti e aperture senza limitazioni o quasi. Se ne riparlerà a metà maggio e come al solito tutto dipenderà da calcoli matematici, non dalla fame di voti di questo o quel partito.
L’impressione di molti è che Salvini faccia fatica a capire che quello di Draghi è di fatto un Governo del Presidente, un esecutivo di unità nazionale con dentro tutti, compreso chi formalmente se n’è tirato fuori; un esecutivo che può tranquillamente arrivare a fine legislatura con o senza Lega. E con un Governo così, le piccole o grandi rendite di posizione vengono meno di zero: lo ha capito bene Matteo Renzi, che dopo aver provato a intestarsi l’operazione sperando di superare la soglia psicologica del 2%, si è arreso all’idea di cominciare a programmare il suo futuro fuori dal Palazzo; lo hanno capito bene Pd e Movimento 5 Stelle, che rimasti scottati da “o Conte o elezioni” approfittano della tregua per curare le ferite e decidere se formalizzare il loro fidanzamento o salutarsi con un sorriso come due sconosciuti finiti a letto dopo una serata a base di superalcolici annacquati e balli di gruppo in un villaggio turistico di terza fascia della Riviera Romagnola.
Ci saranno altri momenti di tensione? Probabilmente sì, perché l’incubo più spaventoso del “Matteo verde” non è una nave carica di africani e napoletani guidata da Carola Rackete che attracca alla Darsena, ma un sorpasso di Giorgia Meloni alle prossime elezioni politiche: un sorpasso che significherebbe l’umiliante cessione della leadership del centrodestra e la fine dei suoi residui sogni di gloria. Per ora, l’unica cosa certa è che qualora questa estate dovesse riaprire l’ormai celebre Papeete Beach, su quella sabbia bollente non ci saranno assembramenti, nessun politico di primo piano organizzerà conferenze stampa tra un sorso di mojito e un passaggio in consolle, ma soprattutto non è lì che si deciderà il futuro di Mario Draghi.
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