Partiti e politici
A due mesi dal voto europeo, un uomo solo al comando
I risultati delle consultazioni elettorali post-politiche, se c’era bisogno di una conferma della inarrestabile crescita della Lega, non sono state particolarmente sorprendenti. Hanno solamente ribadito quanto i quotidiani sondaggi, sempre più vituperati ma sempre più attendibili in termini di tendenze di voto, sono andati ribadendo da un anno a questa parte: Lega su, M5s giù, Pd stabile.
Potrei finirla qui, questa breve analisi su quali siano gli orientamenti degli italiani all’avvicinarsi del voto europeo. Perché il trend è attualmente questo, e poco dovrebbe cambiare nello scenario che avremo alla fine di maggio, quando le urne saranno chiuse. Ma ovviamente qualche margine di incertezza resta, alcune domande sui destini delle principali forze politiche in campo rimangono ancora inevase.
Prima di tutto sul Movimento 5 stelle. Lo sappiamo, dal giorno dell’accordo Di Maio-Salvini, nel lontano 1° giugno dello scorso anno, i pentastellati hanno seguito il percorso che già allora qualcuno aveva preconizzato: l’annunciato “bacio della morte”, plasticamente ben rappresentato da uno dei murales apparso in quei giorni, non ci ha messo molto a produrre i suoi effetti devastanti sui consensi del movimento fondato da Grillo. Nel breve volgere di nove mesi, il tempo di una gravidanza mal riuscita, il M5s ha perso qualcosa come 10-12 punti percentuali virtuali (e molto di più nelle elezioni reali) vedendosi oggi avvicinare perfino dal Pd, da molti dato per moribondo, almeno fino alla (per ora temporanea) rinascita dello scorso week-end. E ora lo spettro della débâcle europea potrebbe concretizzarsi, facendolo precipitare addirittura sotto al livello dei consensi di 5 anni fa, quando ottennero comunque un lusinghiero 21%.
E allora il Pd? L’incessante ritornello che ci ha accompagnato in questi ultimi mesi merita una risposta. Il Partito Democratico non rialzerà la testa in tempi brevi, lo sappiamo. Ha bisogno di ancora un anno o due per rivedere la luce, per far riavvicinare un elettorato deluso soprattutto dalle sue liti interne e da una ormai cronica incapacità di proporre un progetto, una visione del mondo futuro che possa contrastare efficacemente la comunicazione leghista, tutta intenta a dipingere un mondo circondato da muri contro le diverse invasioni. Una comunicazione che funziona, e quindi molto difficile da contrastare in maniera efficace. Alle europee il Pd sogna il tanto vituperato 40% renziano e, se prenderà almeno la metà di quei voti, sarà contento. A meno che non riesca a coinvolgere in un grande raggruppamento tutta l’area progressista del paese, dai verdi ai radicali alla sinistra più di sinistra. Solo così riuscirà a contare qualcosa a livello europee, ponendosi come alternativa ai diversi sovranisti internazionali.
La Lega, infine. Ha spiccato il volo, vincendo di fatto tutte le elezioni regionali che si sono tenute nel corso di quest’ultimo anno, dal Molise al Friuli, dal Trentino al Sudtirolo, dall’Abruzzo fino alla Sardegna: 6-0 per Salvini, come lui stesso non manca di sottolineare. Ora punta alla Basilicata e al Piemonte, e poi sarà la volta dell’Emilia Romagna e della Toscana, fino a che tutte le regioni italiane non saranno governate dal centro-destra a trazione leghista. E intanto il gran salto delle Europee, dove punta al 40% che fu di Renzi cinque anni fa. Inarrestabile, ancora per un po’, sia che il governo resista sia che si vada ad elezioni anticipate. Chi l’avrebbe mai detto, pensando al Bossi indipendentista di 30 anni fa?
E gli altri? Si contenderanno le briciole.
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