Partiti e politici
A difesa di Gianluigi Paragone
È oramai di dominio pubblico la notizia – non inaspettata – secondo cui si sta per avviare nei confronti del senatore GianLuigi Paragone la procedura di espulsione da parte del Movimento Cinque Stelle.
Il capo d’accusa sarebbe rappresentato dal fatto che il senatore Paragone non ha espresso il suo assenso alla legge di bilancio e negli ultimi tempi ha criticato la politica del Movimento Cinque Stelle: non avrebbe condiviso il varo del governo giallo rosso, l’alleanza con il Partito Democratico.
In realtà stanno venendo fuori alcune contraddizioni che pervadono le ultime uscite del Movimento e dei suoi leaders.
Mettere sotto accusa Paragone è un errore di forma e di sostanza.
Fare questo processo tradisce la natura del Movimento: non è affatto democratico, ai sensi dell’art. 49 della Costituzione, perché, come appunto recita la Carta Fondamentale, ogni partito deve avere una struttura democratica e rispettare la libertà di dissenso. Nella fattispecie Paragone lo ha motivato con argomentazioni forti e serrate: è il Movimento che
1-sta tradendo le sue radici,
2-il programma elettorale,
3-i canoni del suo credo politico.
L’alleanza con il Partito Democratico è innaturale. Quest’ultimo ha perduto l’afflato sociale, ha abbandonato gli operai, le periferie, non cura gli interessi dei più deboli. È il partito dei radical chic, di quelli che difendono l’Europa, la politica di austerity.
Paragone ha una sua storia: è stato prestato alla politica, è di professione un giornalista serio e preparato. Ha scritto dei libri contro i poteri forti, in particolare le Banche.
Ha letto Turati, Gramsci, Stiglitz, Cafiero, Nenni. È un keynesiano e, come Federico Caffè, si batte per un sano Welfare State, uno Stato Sociale che intervenga nel tessuto economico a difesa dei più deboli, anche rompendo i vincoli di bilancio e perseguendo politiche espansive, come avvenne con il New Deal.
Recentemente ha portato avanti contro le banche una battaglia durissima per l’abrogazione della legge Renzi-Boschi ed è riuscito ad ottenere la riforma dello scellerato art. 560 cpc, con il varo della legge Bramini, quella che toglie ai custodi il potere di scaraventare fuori i debitori prima che intervenga il decreto di trasferimento a favore degli aggiudicatari.
Devono essere processati i leaders del Movimento, non Paragone che diventa il custode di un programma politico che oggi i Cinque Stelle hanno dimenticato e implacabilmente le urne stanno punendo.
Paragone non vive di politica, può tornare al suo mestiere, scrivere articoli di giornali e libri.
Il Movimento dei 5 Stelle, appiattito sulle politiche del Partito Democratico, perderà definitivamente la sua spinta propulsiva.
Cacciare Paragone è un errore gravissimo: ci ripensino e leggano i suoi scritti. Capiranno che stanno per perdere ogni legame con la socialità e tradendo il messaggio primigenio per il quale sono nati.
Biagio Riccio
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