Partiti e politici

A ciascuno la sua croce (quella di Adinolfi ve la lascio volentieri)

13 Gennaio 2015

Abbiamo già visto tutto quello che c’era da vedere. Tra chi ha scelto l’etichetta je suis Charlie, abbiamo visto autocrati marciare per la libertà di espressione, Berluscones per quella di satira, cattoreazionari per il diritto di farsi beffe dei fanatici (preferibimente quelli delle altre religioni). Tra coloro che je ne suis pas Charlie, abbiamo visto tanti compagni della Vera Sinistra e tanti antagonisti di varia osservanza, sempre pronti a disvelarti la contraddizione principale nascosta dietro a quella secondaria, recitando il loro rosario di Marx-Foucault-Deleuze, un ghigno feroce stampato in viso.

Metti assieme tutto questo e ne ottieni come minimo un’orchite. Passerà anche l’orchite, nel frattempo dobbiamo rilevare come l’unico aspetto positivo della tragedia dei giorni scorsi – oltre ad una momentanea e temo fasulla ritrovata unità europea – consista proprio nell’aver fatto emergere in modo chiarissimo la presenza di una faglia che attraversa la nostra civiltà, o, più sommessamente, le nostre liberaldemocrazie. Quando parlo di fronte interno dello scontro di civiltà, un fronte sul quale i mass media sono presenti e attivi, mi riferisco proprio a questo.

Prima ancora che i cadaveri si raffreddassero, abbiamo assistito all’infinita serie dei distinguo, delle prese di distanza e dei “sì, ma” e alla sconfortante confusione tra satira, libertà d’espressione e incitamento all’odio religioso o razziale. Il vecchio paradosso sulla tolleranza da concedere (o meno) agli intolleranti si è ripresentato puntualmente. Quando l’ateo devoto Giuliano Ferrara dice di ammirare e invidiare lo zelo degli assassini islamisti o uno stimabile scrittore come Ferdinando Camon paragona la «bestemmia» di Charlie Hebdo alle torture dei prigionieri di Abu Ghraib, costretti a pisciare sul Corano, la profondità della faglia appare davvero grande.

In tutto ciò, con un timing efficacissimo anche se – vogliamo sperarlo – del tutto casuale, esce oggi il primo numero de «La Croce» (“organo dell’Associazione Voglio La Mamma”) quotidiano fondato e diretto dal noto giocatore di poker cattolico Mario Adinolfi. Delle varie mosse fatte dal poliedrico agitatore nel corso della sua ascesa, questo è senz’altro la più ambiziosa. Altri hanno tentato negli ultimi anni la strada della carta stampata, fallendo. Qualcuno aveva un progetto davvero interessante, altri meno, qualcuno voleva fare giornalismo, qualcuno voleva usare il giornalismo per altri fini. Hanno chiuso tutti a pochi mesi dalla prima uscita in edicola.

Deciderà il mercato, si dice in questi casi. Verissimo, vedremo che cosa deciderà. Vedremo se esiste un pubblico per un quotidiano d’opinione cattolico di destra fondato da un esponente del centrosinistra – che sia questa stranezza il plus vincente dell’operazione editoriale? In ogni caso, il mio augurio è che «La Croce» abbia lo stesso successo dell’ottimo «pagina99». Né più, né meno. Sono convinto che un deciso sostenitore della meritocrazia come il suo direttore sarà d’accordo con me. Facile rivolgere al sottoscritto l’accusa di essere ostile al pluralismo, illiberale e quant’altro. «Ti contraddici! Ma non eri Charlie pure tu?» Certo che sì, sono Charlie, Ahmed, ebreo e poliziotto. Non riesco ad essere anche Adinolfi.

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