Partiti e politici

Renzi, ci chiarisca: lei da premier faceva controllare la vita dei giornalisti?

14 Maggio 2017

Finchè si scherza, si scherza. E finchè si scherza, si sta ovviamente al gioco del Potere, quei meccanismi opachi ma convenzionalmente accettati che sono parte integrante di un sistema, dove il controllo dell’informazione con metodi non esattamente democratici risulta essere un punto silenziosamente condiviso persino dagli stessi interessati. Per dire che tutti noi che con il potere abbiamo avuto a che fare sappiamo benissimo di essere stati attenzionati ( a turno) dai servizi o da qualche altra barba più o meno finta e che questo in fondo non ci ha mai prodotto vero scandalo perché probabilmente chi faceva, sapeva fare.

C’è un punto, però. Il punto è che nulla deve mai emergere in pubblico. Nel senso che tu che (mi) controlli, devi saperti moderare, devi moderare i tuoi appetiti, devi usare le informazioni con il tono giusto, non devi sbroccare, non devi far sapere mai nulla a nessuno che non ne abbia diretta cointeressenza. E meno che mai all’interessato, questo è ovvio. Perché l’emergere in superficie anche di un solo particolare, magari banale, magari insignificante, rimette tutto i discussione, fa saltare gli equilibri condivisi, rompe quel patto omertoso su cui si fonda un meccanismo delicato come questo. E se qualcosa emerge, allora la questione diventa istituzionale, sì, istituzionale, ed è necessario fare domande e, soprattutto, ottenere, risposte.

La questione ruota intorno al libro di Ferruccio De Bortoli, ma non ha nessuna attinenza con la questione Boschi-Banca Etruria. Per definire i suoi burrascosi rapporti con l’attuale segretario del Pd, all’epoca dei fatti presidente del Consiglio, l’ex direttore del Corriere della Sera racconta un episodio in cui è coinvolto uno dei suoi inviati, Marco Galluzzo, che viene spedito sulle tracce di Renzi in vacanza in Versilia. Galluzzo prende una stanza nel suo stesso albergo e incrocia il premier nella sala da pranzo. Ecco il racconto di De Bortoli:

«L’episodio che mi lasciò di stucco accadde in occasione delle sue brevi vacanze siamo nell’agosto del 2014 in un albergo di Forte dei Marmi di proprietà di un suo amico. Il collega Marco Galluzzo, che lo seguiva con professionalità e rispetto, prese una stanza nello stesso albergo. Niente di male. L’albergo era aperto a tutti. Non riservato solo a lui. Il messaggio del presidente, particolarmente piccato, lamentava una violazione inaccettabile della sua privacy. Aveva incontrato Galluzzo nella hall e il collega lo aveva salutato. Tutto qui. Io stavo al mare, in Liguria, non sapevo assolutamente nulla. Al telefono, Galluzzo mi spiegò di essere stato avvicinato dalla scorta del premier che gli aveva intimato di lasciare subito l’albergo. Questo il suo racconto: «Mi avvicinai al tavolo del ristorante dove cenava, nella terrazza dell’albergo, con la moglie e i figli. Mi fu possibile solo salutarlo e per un attimo stringergli la mano, poi cominciò a gridare, lasciando di stucco i tavoli degli altri ospiti, gruppi francesi, tedeschi e russi. E anche Agnese, che mi rivolse uno sguardo di comprensione, quasi di vergogna. Gridava talmente forte, inveendo contro il Corriere che invadeva la sua privacy, che la scorta accorse come se lui fosse in pericolo. Venni anche strattonato. Dovetti alzare la voce per dire al caposcorta di non permettersi. Lui reagì minacciandomi. Mi disse che tutta la mia giornata era stata monitorata, dal momento in cui avevo prenotato una camera nello stesso albergo, e che di me sapevano tutto, anche con sgradevoli riferimenti, millantati o meno conta poco, alla mia vita privata». Insomma, intollerabile. Se Berlusconi avesse fatto una cosa simile saremmo tutti insorti. Quella fu l’unica volta nella quale risposi a un sms di Renzi, dicendogli in sostanza che non volevamo assolutamente attentare alla privacy della sua famiglia era sempre in un luogo aperto al pubblico non era accettabile che il collega venisse minacciato dalla sua scorta. E con quella frase sibillina sul giornalista spiato, poi. Seguì sms di risposta. Più morbido. Per tagliar corto. Il 24 settembre 2014 uscì sul Corriere il mio editoriale dal titolo «Un nemico allo specchio» nel quale criticavo la gestione del potere renziano».

Dunque. Questo passo, nella parte che riguarda le intemperanze del caposcorta, non è stata smentito. Non sono state smentite le minacce, non sono stati smentiti «gli sgradevoli riferimenti alla mia vita privata», così dice Galluzzo. Quindi abbiamo un problema. È questo il caso in cui quel patto di cui sopra si rompe, diventa inaccettabile, soprattutto nella parte – essa sì sacra oltre ogni ragionevole dubbio – che riguarda la vita privata di una persona, in questo caso di un professionista che sta svolgendo regolarmente il suo lavoro, alla luce del sole, presentandosi con la sua faccia.

È inutile girarci troppo intorno, segretario Renzi, la questione è di una gravità assoluta. Le domande sono semplici, e per conoscenza le giriamo anche al ministro degli Interni, Marco Minniti:

a) Segretario Renzi, di questa attività parallela del suo caposcorta lei ne era a conoscenza?

b) Questa attività parallela, che ha invaso pesantemente la sfera privata di un professionista, è stata da lei concepita o ha avuto il suo avallo?

c) Se non ne era a conoscenza, ora che lo ha appreso che iniziativa intende intraprendere?

Non ci piace, egregio segretario, un mondo regolato dalla minaccia. Minaccia che passa attraverso la privatezza delle nostre vite, dei nostri gesti, che vengono sfruttati ignobilmente per obiettivi davvero miserandi. Si può fare serenamente a pugni, per poi magari stringersi sportivamente la mano. Ma usare mezzi sporchi, che gelano le vene, che costringono ad arretrare per umana paura non è più nemmeno il gioco del potere, quello appunto silenziosamente condiviso. No. Se viene alla luce, è qualcosa d’altro. E la democrazia se ne deve occupare.

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