Partiti e politici

Nel 2017, essere Matteo Renzi non basta più

31 Gennaio 2017

Ci volevano come sempre due televisori, vecchio sogno di noi calciofili per evitare rampogne familiari di domenica pomeriggio, uno acceso sulle incredibili scene americane, l’altro sulle più malinconiche cronache riminesi che hanno contrappuntato il ritorno di Matteo Renzi sulla scena nazionale. Due schermi in parallelo come in uno slalom per cogliere suggestioni e proiettarle nei nostri mondi e capire, al fondo, se i tormenti planetari, portati alla massima estensione come sta facendo Trump, possano determinare anche i nostri pensieri più raccolti, raccontati a una platea di amministratori lì convenuti. Per dire: se è in atto una sorta di “segregazione” razziale a tempo (determinato?) ad opera del presidente degli Stati Uniti, come ci si deve regolare parlando di politica nostrana, tenendo presente la terribilità o passandoci sopra? È un tema, sempre che si consideri roba anche nostra ciò che decide autonomamente il nuovo inquilino della Casa Bianca. Ma se per le pene americane vi rimando volentieri al gran lavoro che da lì sta facendo Francesco Mazza per Gli Stati Generali, con l’impegno di evitare la visione più scontata dei giornali e cercandosi vie meno bazzicate, a noi poveri provinciali toccano invece quelle italiane e il ritorno del  Renzi non poteva che sollecitare la nostra (e forse la vostra) curiosità. Quasi due mesi di silenzio la meritavano.

Cosa si aspetta il cittadino appassionato di politica da un ex presidente del Consiglio e ancora segretario del Pd che ha perso rovinosamente il referendum? Probabilmente l’indicazione di una strada, la visione sul futuro e il relativo progetto. Ma prima di tutto la necessaria consapevolezza sul passato e sul perché quella strada, quel futuro e quel progetto non sono andati in porto. Per farvi un’idea della straordinaria occasione mancata da Matteo Renzi in quel di Rimini nella sua prima uscita da convalescente, non fidatevi necessariamente di chi scrive ma costringetevi a una cinquantina di minuti tutti politici, il tempo dell’intervento del segretario, da cui emerge un dato soprattutto: Matteo Renzi non ha preparato nulla. Si dirà: ma viva l’improvvisazione,  quel sentimento estemporaneo, viva le cose così come vengono e basta con le fumisterie. Tutto vero, tutto giusto. Ma tra improvvisare sapendo cosa dire e improvvisare dicendo nulla c’è molta differenza. Era l’occasione giusta per raccontare meglio cosa è successo in quel maledetto referendum. Renzi ha liquidato l’argomento con un “ho sbagliato”, “fa male”, “fa molto male”, “ma nessuna rivincita”, “si è perso, quale rivincita”. Ha accennato ad altri che invece non si dimisero – guarda caso sempre lui, S.B. -, mentre il nostro ex sindaco lo ha avvertito come un dovere morale. (Veramente era qualcosa in più che dimettersi e basta ma qui non vogliamo spaccare il capello in quattro). Si potevano dire probabilmente due parole sull’esasperazione, perché fosse evidente che Matteo Renzi aveva trascinato buona parte degli italiani in una rappresentazione guerresca e drammatica a cui in realtà nessuno ambiva, dovendo già litigare quotidianamente con capufficio, vigili, Equitalia, banca, moglie, figli, promotore finanziario, curatore fallimentare (questi ultimi due a piacere). Si dovevano dire due cose sul cambiamento in corso, sì, soprattutto sul cambiamento personale in corso, com’era giusto che fosse dopo avere sfibrato la pazienza di buona parte degli italiani. Ci si poteva interrogare sul miglior Renzi possibile, sia in forma dubitativa sia in quella più ironica come spesso sa fare, per concludere magari che l’unico Renzi possibile è quello che si contrappone in maniera stucchevole ed estenuante e in questo caso immaginare di cambiare cavallo in corsa. Ecco, questo sì che sarebbe stato un grandissimo tema, trattabile solo da un fuoriclasse alla Federer e per certi colpi Renzi lo è: giocare su se stesso in termini definitivi, dentro o fuori, Gesù o Barabba, indagine impietosa su un gradimento tutto da ricostruire e se sia davvero il caso di ricostruirlo. Doveva, Matteo Renzi, mettere a disposizione il proprio corpo come un San Sebastiano, farsi trafiggere, chiedere a tutti di scoccare una freccia nel costato, sembrare morto per tutti e poi risorgere come in un miracolo.

Invece noi cittadini non avremo più due Renzi come ci sarebbe piaciuto, uno diverso dall’altro, se non addirittura uno il contrario dell’altro, due fondali in cui riconoscere il primo così tanto amato come poi detestato, e poi il secondo rigenerato dai suoi stessi errori che aveva impietosamente riconosciuto. No, questa cesura fondamentale tra un prima e un dopo il nostro caro sindaco la nega in radice, e nei suoi cinquanta a passa minuti di intervento mette sulla bancarella la solita cineseria stanca e senza certificato di sicurezza. Discute dell’Europa pignola per uno 0,2 (ancora!), indica gli sciacalli da terremoto, invita tutti a non “guardarsi l’ombelico” ma volare alti, ammette che “l’Io ci vuole in politica”, in un’espressione – quella che racchiuderebbe la sua seconda possibilità – «Il modo giusto di ripartire».

Ma qui si riparte, caro segretario, senza esserci detti in faccia praticamente nulla, senza aver capito bene perchè il Partito Democratico aveva un presidente del Consiglio che si chiamava Matteo Renzi e poi, nel corso di una sola notte, su quella poltrona si è seduto un signore calmo e ben pettinato che si chiama Paolo Gentiloni. Misteri del Pd, più fitti di quelli della fede.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.