Partiti e politici

2009-2019: la 10 years challenge di Berlusconi candidato alle Europee

18 Gennaio 2019

C’e dell’ironia, in certe coincidenze. Proprio nei giorni in cui, docili all’Algoritmo, ripeschiamo dagli archivi di Facebook le nostre foto di dieci anni fa per confrontarle, impietose, con quelle di oggi, il più avventuriero e sbarazzino tra noi annuncia un confronto ancora più spregiudicato e rischioso. Altro non è che l’ultima lotteria, quella finale, quella cui Silvio Berlusconi ha deciso di sottoporsi annunciando ieri che sarà candidato alle Elezioni Europee del prossimo 26 maggio.

Se il punto di riferimento è il 2009, Silvio Berlusconi è il presidente del Consiglio in carica, gode di una larga maggioranza parlamentare frutto di una solida egemonia sociale e culturale nel paese. Ha raccolto, appena un anno prima, l’ennesima crisi di nervi del centrosinistra (dove dieci anni prima era stato Bertinotti con D’Alema, quella volta bastó Mastella, sostanzialmente da solo); ha piegato le profetiche bizze di fini a migliori consigli fondendo tutto nel Popolo della Libertà; ha bastonato nella culla il Partito Democratico veltroniano. Come uno spurio test di midterm, che in realtà arriva un anno dopo il voto politico, ci sono le elezioni europee del 2009. Berlusconi ci arrivà già colpito nel tallone che poi gli costó anche il resto: è già esplosa la grana Noemi Letizia, dietro l’angolo c’è in agguato la vicenda di Patrizia D’Addario. Ed è solo l’inizio. Un Berlusconi lievemente azzoppato, di cui i più ottimisti (o i più lungimiranti) preconizzano allora la fine raccoglie oltre il 35 per cento dei voti, col suo Pdl. Da “azzoppato”, tuttavia, prese 2,7 milioni di preferenze da solo. Più della metà dei voti presi dalla sua Forza Italia, tutta insieme, alle scorse elezioni politiche.

Fa una certa impressione confrontare con quell’allora questa ennesima, ultima ri-discesa in campo del vecchio campione che “per senso della responsabilità” spiega di doversi candidare. La sua Forza Italia, quel che ne resta, è un partito svuotato, di vecchi, cui Salvini sta drenando, un giorno dopo l’altro, classe dirigente e, soprattutto, voti e rapporto col paese. Già, proprio quella “pancia” che era il terreno di conquista in cui Berlusconi regnava incontrastato, da nord a sud, da ceto medio a proletariato, dai centri urbani alle infinite campagne che allora iniziavano a vedere cosa fosse una crisi globale, proprio quella pancia è roba di altri, che governano insieme mentre lui, dall’opposizione, gioca la parte del padre sella patria: Responsabile, serio, moderato, europeista. Per la prima volta, dopo decenni, il ritorno di Berlusconi, su questi toni pastello, sembra completamente fuori sincrono rispetto agli umori del mondo.

Le partite che si gioca, il vecchio leader che va per gli 83, e si vedono, sono due, come sempre. C’è quella umana: la più affascinate e spericolata. Non ci sta a farsi archiviare da sconfitto, non può accettare di fermarsi ai limiti della biologia e della storia, non lui.

Più grande e più piccola, insieme, è la seconda sfida di Berlusconi, tutta politica. Se Forza Italia avrà un risultato decente, nessuno potrà dubitare che è tutto merito suo. Se Forza Italia avrà un esito positivo, tutti dovranno riconoscere che il centrodestra, scomposto in parlamento, esiste ancora nella società e nel paese. Tutti dovranno riconoscerlo, a cominciare da quel Salvini cui Berlusconi riconosce istinto di animale politico, e nient’altro: che da vecchi che hanno sempre comandato tutto si può accettare, ma non l’impudenza dei più giovani, che per di più appartengono all’odiata schiera dei professionisti della politica.

Se Berlusconi uscirà vivo dalle Europee, insomma, Salvini dovrà accettare che il centrodestra, ripudiato a Marzo, è ancora vivo un anno dopo, e sarà buono per andare a una nuova sfida elettorale o per ripensare – attraverso nuove alchimie parlamentare, e nuove scomposizioni del Pd – una maggioranza di governo.

Se così non sarà, sarà invece semplicemente la fine ultima di un’era politica tra le più longeve della storia delle democrazie occidentali. Le cose umane del resto hanno tutte una fine: a evitarla non basta la volontà degli uomini, nemmeno dei più forti e dotati tra noi.

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