Costume
Una vanvera non si nega a nessuno
La mediocrità della nostra classe politica, sempre più evidente, è a rischio aumento qualora lo psicofascista Trump vincesse le elezioni americane. Perché tutti i governi di destra, destrissima e assoluti del mondo saluterebbero con devozione e speranza quest’elemento orrendo che metterebbe nei guai tutti.
Ecco, lui è lo psicofascista al massimo grado perché vive in un paese potente, uno dei paesi dominatori nel mondo e quindi le sue patologie verrebbero amplificate.
Parlo sempre di psicofascismo, in questi ultimi giorni, perché vorrei che i miei lettori focalizzassero la loro attenzione su quest’attitudine distruttiva, dove anche le parole perdono di senso perché sono sempre troppe e usate a sproposito. Spesso non ne vengono riconosciuti i limiti, delle parole.
Non si può chiamare ideologia, lo psicofascismo, perché è un frappè di comportamenti, atteggiamenti, ostentazioni, feticci e molto altro basato su un nulla cosmico. Lo psicofascismo raccatta in soffitta orpelli che erano stati messi lì perché non si aveva cuore di buttarli via, in quanto oggetti tarlati dei nonni, un po’ per nostalgia un po’ per un supposto rispetto familiare verso gli avi, pur rendendosi conto di un passato remoto ormai superato dalla Storia, quella colla S.
E le parole, in questa operazione di centrifuga attitudinale, sono state utilizzate e abusate come se fossero l’unica certezza a cui appigliarsi. Le parole servono per definire ma l’uso che se ne vuol fare spesso serve proprio per ingannare. Come diceva Ortega y Gasset “la parola è un sacramento di molta delicata amministrazione” perché va pensata bene prima di essere pronunciata.
Assistiamo a fiumi di parole, come dice la canzone, che io modificherei in “fumi” di parole, dove le stesse perdono la loro forza, vengono usate per girare intorno alle cose e ai problemi e illudere chi ascolta che chi parla abbia una tale padronanza delle parole da esprimersi con tante, troppe, delle stesse.
Un esempio di questi ultimi giorni è il neo ministro Giuli che ha pronunciato, nel suo discorso d’insediamento, cascate di parole come se fosse un cruciverba senza schema, di cui misteriosi erano gli incroci. Ma non solo lui.
In realtà questa decadenza della parola è avviata ormai da molto tempo, proprio a causa dell’abuso. José Ortega y Gasset ne parlava, addirittura, un secolo fa. Ciò significa che ben pochi progressi sono stati fatti.
Un tempo prima di parlare si rifletteva sempre, proprio perché la parola ha un suo peso, una sua valenza. Se si usa quella parola significa quello, anche il sinonimo non è la stessa cosa, ogni termine porta con sé un suo proprio significato, fatto di sottili distinzioni dai cosiddetti sinonimi. Ed è anche il limite delle parole.
Attraverso le parole si costruiscono i personaggi, come fossero attori in una commedia, si descrivono situazioni e non sempre le parole bastano per una rappresentazione completa. Alla parola, che è comunque suono, musica, movimento nel tempo e nello spazio, si aggiunge una caratteristica tutta umana che è l’intonazione, sfumatura sonora che ci permette di capire con che intenzione è usato quel termine e solo quello. La Sibilla poteva essere interpretata diversamente a seconda delle pause e delle intonazioni.
Le parole alla rinfusa che le classi politiche vomitano a getto continuo hanno fatto perdere il carattere sacrale che la parola si porta dietro.
Ricordo un comico svizzero che faceva i suoi spettacoli di cabaret in giro per l’Elvezia, in lingua tedesca, che iniziava un suo monologo così:
“In principio fu la Parola.” Solo che in tedesco parola si dice Wort (Word in inglese) e il tedesco prevede, nella sua morfologia, la composizione di parole con preposizioni o l’assemblaggio di parole diverse. In tedesco Wort si può comporre con preposizioni varie come Vor-wort (pre-parola), per esempio (o anche Ant-wort= risposta, parola-contro, ecc.) che significa “prefazione” o anche “premessa” “introduzione”, e, infatti, lui continuava:
“Però prima della parola (Wort) c’è anche un “Vorwort”!” ossia una prefazione (come nei libri, e la Bibbia è il libro per antonomasia), che significa che in principio non poteva esserci la Parola e basta, come si tramanda, e che, quindi, tutto si basa su un fraintendimento e una contraddizione. Nella traduzione il senso si perde perché noi non abbiamo una parola corrispondente in italiano. Resta però il concetto.
Prima della parola deve necessariamente esserci un pensiero. Poi se si andasse ad analizzare dal punto di vista glottologico cosa c’è prima della parola, ossia il colpo di glottide ossia occlusiva glottidale sorda, le cose si farebbero troppo difficili e assumerebbero caratteri mistici, l’aleph e così via. Non è il caso, almeno oggi.
Ora, dalla valanga di parole inutili dette e ridette dai politici, mi pare che, nonostante i ripetuti colpi di glottide, di pensieri proprio non ce ne siano molti, se non, appunto, quei frammenti scomposti ripescati in soffitta.
Lo svilimento della parola e dei suoi molteplici significati fa dire, sempre a Ortega y Gasset “Si è abusato della parola e per questo è caduta in discredito. Come in tante altre cose, l’abuso è consistito qui nell’uso senza preoccupazioni, senza coscienza del limite dello strumento.”
La coscienza, infatti, è ciò che ordina le parole, dando un senso alla comunicazione.
La comunicazione che vorrebbero veicolare i politici, in particolare gli psicofascisti, è una materia oscura. Tant’è che non capiscono, solo per fare un esempio, che le leggi della Corte Europea o le leggi del mare sono superiori alle leggi nazionali, facendo l’Italia parte dell’Unione Europea. Nulla, non riescono a capire le parole e continuano, insistono che hanno ragione loro, che volete farci? Un nuovo corso di alfabetizzazione dovrebbe essere obbligatorio per tutti i parlamentari, anche se sono sicuro che metterebbero in dubbio le regole della sintassi.
Un altro esempio, che viene dall’oltremare: quando Trump afferma pubblicamente che i migranti, appena arrivano, mangiano cani, gatti e probabilmente altri animali domestici dei veri residenti americani, veicola una comunicazione non supportata da pensieri reali né da fatti altrettanto reali e quindi usa le parole per ingannare.
Anche le favole sono parole che descrivono fatti non veri o veri solo in parte ma che si usano come metafore. Ma l’uso delle metafore presuppone una raffinata profondità idiomatica che Trump, infelice, non ha.
E come Trump non ce l’hanno nemmeno la biondina e i suoi accoliti psicofascisti del cerchio magico, che di parole a vanvera (nel vero e profondo significato della “vanvera”, che era un contenitore per le scoregge usato nel Settecento e veniva ubicato sotto le gonne delle dame, come nella figura del titolo) sono esperti consumatori.
Basti ricordare la famosa uscita della Santanchè ossia che il “Gattopardo” era un film di Lucchini, ignorando che era di Luchino Visconti, o quelle ben più gravi dell’ex ministro della cultura Sangiuliano che metteva Times Square a Londra o pensava che Colombo si basasse sugli studi astronomici di Galileo, tra le centinaia di strafalcioni che tutti emettono nella capiente scoreggiera vanveresca.
In principio fu la parola e, alla fine, diventò un anagramma.
Vorrei proporre una meditazione sulla parola. Un ritrovato rispetto verso questo privilegio che gli umani hanno sugli altri animali, che non riescono a esprimersi con tali ricchezze e varietà di idiomi, sarebbe un rispetto innanzi tutto per sé stessi.
E, forse, potrebbe tirarci fuori da quest’incubo psicofascista, facendoci comprendere l’inganno collettivo a cui questi mediocri individui ci stanno sottoponendo, ributtandoci nella barbarie.
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