Parlamento
Tra pistola e pistoleri, che nostalgia della Prima Repubblica
La grottesca vicenda dello sparo di Capodanno, protagonisti il Sottosegretario di Stato alla Giustizia Andrea Delmastro e il Deputato Emanuele Pozzolo ha, in un sol colpo e molto più efficacemente di mille pensose articolesse, smontato due capisaldi delle politiche della Destra al governo.
Il primo è, con tutta evidenza, la proposta di una più libera circolazione delle armi, esattamente il presupposto per rendere la vicenda di Rosazza all’ordine del giorno. Perché le armi in mano ai pirla sono pericolose e più armi più facilmente in mano ai pirla sono molto più pericolose di meno armi, da assegnarsi non con minore, ma con assai maggiore fatica (e burocrazia, per una volta) di oggi.
Il secondo è la riforma costituzionale, con l’obiettivo di cementare l’esecutivo anche regalandogli un premio di maggioranza (55%) a prova di bomba che, collegato alle liste bloccate e alle fluttuazioni violente di maggioranza, con fortune straordinarie e rapidissime nel farsi e nel disfarsi, produce inevitabilmente un Parlamento di Minions, nel quale i Pozzolo abbondano. Non che non abbondino da tempo, in un sistema politico “guittogeno” (che produce guitti) nel quale le principali caratteristiche per essere eletti agli scranni più alti della Repubblica sono o una canina fedeltà al capoclan, o l’essere “personaggi”, non importa quanto colorati, né quanto presentabili.
Me lo immagino l’Onorevole Pozzolo arrivare nella saletta della proloco di Rosazza e mostrare a tutti la pistolina, segno (de gustibus) del raggiunto successo, di chi, un po’ miracolosamente ce l’ha fatta, salvo poi mandare tutto in vacca, perché chi nasce tondo non muore quadro. Prima di lui lo avevano fatto torme di parlamentari 5 Stelle, prima ancora avvenenti forziste e, per par condicio, più recentemente un supposto eroe dei migranti sfruttati, talmente telegenico da non necessitare nemmeno di un un piccolo check per verificare moglie e suocera, e oggi comodamente aquartierato nel gruppo misto a godere dell’insindacabile diritto di un emolumento pubblico.
Perché i pirla, i casinisti e le mezze calzette ci sono e ci sono sempre state, ma è meglio non mettergli in mano un’arma né farli parlamentari della Repubblica. L’involuzione sistemica della politica ha dimenticato questo semplice dato, e non è una cosa buona. Le riforme proposte da entrambi gli schieramenti, che tentano di riparare un tessuto strapieno di buchi con pezze a colore a loro volta bucate, hanno sempre avuto il chiodo fisso di cementare l’esecutivo e non hanno mai, dico mai, indirizzato il tema della qualità della classe dirigente politica. Come? Con gli unici strumenti che dopo mille giravolte restano i migliori per garantire di non eleggere baluba: le preferenze e ancor meglio il voto di collegio, ossia la necessità di investire sulla classe dirigente perché la sua qualità fa la differenza. Così spariscono i Pozzolo, i Toninelli e i Soumahoro. Non per eleggere solo grandi personalità, ché servono anche e soprattutto degli onesti spingitori di bottoni, i quali si devono però guadagnare la pagnotta non con due tweet, ma dicendo qualcosa in più del loro avversario.
Erano certamente altri tempi, analogici e assai più lenti, ma nella Prima Repubblica questo concetto era più chiaro. Anche chi, come il PCI ma non solo, portava in Parlamento soprattutto funzionari di partito, lo faceva dopo una lunghissima gavetta e selezione, non con i casting del Grande Fratello. L’esperienza minimizzava gli imbecilli (meno i ladri, ma è un’altra storia) e la cosa pubblica ne godeva. Anche per questo la Prima Repubblica manca terribilmente: meglio i Cattivissimi Me del CAF delle legioni di Minions pistola e pistoleri di adesso e di domani.
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