Parlamento
Tra canguri e grida, una giornata particolare in Senato
Canguro è la parola chiave della riforma costituzionale in discussione al Senato. Con questo strumento, che evoca il simpatico animale, la maggioranza ha evitato il voto su tutti gli altri emendamenti delle opposizioni che prevedevano il voto segreto sull’articolo 1 del testo, relativo alle funzioni del Senato con la nuova Costituzione. Ma cosa comporta la riforma? L’obiettivo principale è la fine del bicameralismo perfetto. Sarà solo la Camera dei deputati, composta sempre da 630 componenti, a dare la fiducia all’esecutivo. Il Senato, invece, passerà da 315 a 100 senatori, ripartiti così: 95 rappresentanti degli Enti territoriali e 5 personalità illustri indicate dal presidente della Repubblica, che non percepiranno indennità. Nella riscrittura dell’architrave istituzionale, il governo può anche chiedere di esaminare un disegno di legge ritenuto prioritario in 60 giorni.
Tornando all’ordine del giorno, il via libera è arrivato con 177 sì, 57 no e 2 astenuti. Insomma, il canguro è l’emendamento che ha fatto saltare la votazione di altri emendamenti, disinnescando qualsiasi rischio di agguato. La formulazione conferma che il Senato non abbia più il compito di dare la fiducia al governo, che diventa esclusiva competenza della Camera. Ma Palazzo Madama avrà il ruolo di “raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica” e di valutazione dell’impatto “delle politiche dell’Unione europea sui territori”.
Il nome associato al canguro è quello di Roberto Cociancich, senatore del Partito democratico, che ha firmato l’emendamento mandando su tutte le furie le Forza Italia, Movimento 5 Stelle, Lega Nord, Sinistra ecologia e Libertà. Mentre gli uomini vicini a Denis Verdini hannno dato il loro via libera, creando qualche malumore nel Pd. Gli esponenti dell’opposizione hanno detto di tutto a Cocianich, a partire dalla definizione di “jihadista della maggioranza” coniata da Tito Di Maggio di Conservatori e Riformisti (il drappello che fa riferimento a Raffaele Fitto). Non è stato da meno Paolo Romani di Forza Italia che ha affermato: “Alzi la mano, così la conosciamo…”, riferendosi a Cocianich. Ma il parlamentare del Pd ha respinto al mittente le accuse, conservando un tono pacato: “Io non sono un jihadista, il mio emendamento è frutto di un lavoro di coordinamento tra maggioranza e governo”. Insomma, la regia dell’operazione è situata a Palazzo Chigi.
Il leghista Roberto Calderoli ha però messo in dubbio la legalità di questo emendamento, chiedendo una perizia calligrafica: “Cocianich era scuro in volto, non ha illustrato il suo emendamento – attacca l’esponente del Carroccio – e voci di corridoio dicono che non fosse neanche al corrente del contenuto del suo emendamento. Ora, chi ce l’ha portato quell’emendamento?” Viene quindi avanzata l’ipotesi di reato: “Voglio vedere se quella firma è a prova di perizia calligrafica, perché altrimenti si tratto di falso in atto pubblico”. Tanto per capire il clima, l’approvazione dell’emendamento è avvenuta con i leghisti che sventolavano soldi verso i colleghi dell’Alleanza liberalpopolare per le autonomie (Ala), il gruppo di Verdini.
Al di là dei canguri, il confronto al Senato sulla rifoma costituzionale ruota tutto intorno alla possibilità di modificare il comma 5 dell’Articolo 2 relativo alla modalità di elezione dei senatori. Il Pd nei giorni scorsi è riuscito a trovare un’intesa tra renziani e minoranza grazie al ‘lodo Finocchiaro’, il compromesso che introduce una elezioni diretta senza dirlo in maniera chiara. Il testo conserva quindi il passaggio che specifica: “I Consigli regionali eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti”, ma questo avviene attraverso il recepimento delle “indicazioni degli elettori”. L’accordo tra le varie anime del Pd ha sostanzialmente retto, con l’eccezione di Felice Casson, Vannino Chiti, Corradino Mineo e Walter Tocci, quattro senatori dem contrari alla formulazione del testo di questa riforma. Ma da Palazzo Chigi non c’è molta preoccupazione: la gran parte della sinistra Pd ha votato a favore e l’appoggio dei verdiniani è in cassaforte.
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