Parlamento

Senza vincolo di mandato!?

22 Aprile 2015

«Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato»: è descritto così, nell’art. 67 della nostra Costituzione, il ruolo dei deputati e dei senatori, voluto da chi ha disegnato l’architettura istituzionale dell’Italia democratica per disinnescare le vecchie dinamiche dei notabili trasformisti, legati al territorio che li eleggeva da mille vincoli clientelari, e le pericolose “obbedienze” dei deputati della Camera dei Fasci e delle Corporazioni del ventennio della dittatura. Ogni singolo parlamentare non rappresenta quindi il proprio territorio né il proprio partito, ma tutti gli Italiani ed il bene comune di tutto il Paese. Il vincolo che lo lega agli elettori assume la natura della responsabilità politica, di cui rispondere al momento di ricandidarsi.

La decisione del gruppo parlamentare del PD di sostituire in Commissione Affari Costituzionali della Camera i dieci parlamentari “dissidenti” rispetto alla linea di sostegno della nuova legge elettorale che è in discussione (l’Italicum”) assume quindi la gravità di una violazione costituzionale pesantissima, non un semplice espediente tecnico della tattica d’Aula per non rallentare la marcia forzata della riforma voluta da Renzi (Capo del Governo e Segretario del PD).

È un’idea della politica molto netta che emerge, senza equivoci: non si discute l’indirizzo che è stato stabilito, nemmeno di fronte alla libera espressione della sovranità popolare che i parlamentari devono rappresentare. Non c’è spazio per il rispetto di un pensiero “non allineato”, per la ricerca di un approfondimento responsabile su un tema di grande delicatezza istituzionale, nemmeno se si vuole uscire dal pantano del “Porcellum” (altra legge elettorale passata a colpi di maggioranza col centro-destra e “ad usum delfini”) con una legge che recuperi dignità alla funzione parlamentare.

Ma la libertà del Parlamento, il primato del potere legislativo sull’esecutivo, ha sempre dato fastidio nei regimi autoritari, è stata sempre un ostacolo da abbattere per i dittatori, persino per un dittatorello mediatico aspirante statista come Renzi, che esibisce tutto il suo fastidio per le obiezioni di chi, nel suo partito, ritiene che l’Italicum vada corretto in senso democratico. Specialmente dopo che, scaduto il patto del Nazareno, è venuta meno la premessa politica dell’accordo bi-partisan con il centro-destra berlusconiano, e quindi diventa attuale, politicamente, la ricerca di uno spazio più ampio di condivisione con altre forze parlamentari di opposizione, o, se si vuole assumere come PD tutta la responsabilità di dare al Paese una riforma elettorale, a maggior ragione è inevitabile costruire una condivisione vera del Partito Democratico nel suo complesso, e non imporre un diktat da “centralismo democratico” come neppure nell’antico Partito Comunista su questi argomenti si faceva.

E poi, chi sono i dieci “rottamati” dalla Commissione Affari Costituzionali? Non un manipolo di peones, scomodi e incompetenti deputati di periferia presenti in Parlamento perché miracolati dalle liste bloccate, ma il Gotha dell’opposizione democrat: Bersani, Bindi, Cuperlo, Pollastrini, D’Attorre, dirigenti politici e parlamentari di lungo corso e di grande esperienza istituzionale, sbattuti fuori da un premier che ancora oggi, in Parlamento con i suoi voti non è mai stato eletto, e che da extraparlamentare sta bombardando le istituzioni del Paese non certamente per renderle più democratiche e trasparenti, almeno secondo questo testo dell’Italicum.

La diligente ministra Boschi, che snocciola in favore di telecamera con lo spessore di un Bignami considerazioni sui profili di innovazione costituzionale che starebbero alla base dell’urgenza di sposare l’Italicum per salvare le sorti del Paese, non ha considerato le ragioni giuridiche, ma anche culturali e antropologiche che stanno alla base del “senza vincolo di mandato” che la Costituzione prescrive?

E come mai nel Paese non si levano grandi voci intorno a questa stretta autoritaria che sta stritolando il dibattito politico sulle condizioni di base per l’esercizio della democrazia nel nostro Paese? E persino i dieci deputati “rottamati” non vanno oltre una protesta rassegnata e moderata con qualche breve dichiarazione alla stampa? Forse non soltanto perché di fronte all’impoverimento e alla mancanza di futuro le questioni istituzionali, a torto o a ragione, sembrano beni voluttuari. Forse perché il gusto del pane della democrazia, negli ultimi decenni è stato contaminato da una vita democratica “geneticamente modificata”, lentamente, inesorabilmente, sganciata pezzo per pezzo dalla vita quotidiana delle persone in carne ed ossa, ricacciate nel mondo virtuale in cui l’esercizio della democrazia veniva ridotto al telecomando e al televoto.

In quale democrazia vivremo, se avremo una legge elettorale che permetterà al capo di un partito di nominarsi il Parlamento che vuole con le liste bloccate, in cui avere numeri “bulgari” grazie al premio di maggioranza al partito e non alla coalizione, con una soglia di sbarramento che negherà anche il diritto di tribuna alle forze più piccole, che pure rappresentano valori ed interessi di una parte del paese, e con una Camera sola, perché il Senato è stato trasformato nel cimitero degli elefanti ininfluente e marginale, senza un sistema di equilibrio tra i poteri che possa somigliare, anche da lontano, a quello del presidenzialismo americano?
Non sarà Obama il modello da seguire, né la Francia, né l’Inghilterra. Forse Peròn. Se siamo fortunati con la consorte.

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