Parlamento

Scusate: ma perchè il PD non dovrebbe dividersi?

16 Febbraio 2017

‘Mi stupisco del suo stupore’, direbbe qualcuno interpretando bene il pensiero di chi come me era al Lingotto più o meno 10 anni fa. Sul palco Veltroni faceva un discorso alto, arringando il popolo della sinistra riformista e disegnando le basi di un progetto che sulla carta avrebbe rigenerato il vecchio modello di partito novecentesco.

Veltroni sognava un ‘Partito liquido’ che non avrebbe dovuto appoggiarsi a sezioni o tessere. Parlava di ‘Vocazione maggioritaria’, intendendo il Partito Democratico come forza autonoma rispetto a una certa idea di coalizione che nel nostro povero paese ha sempre avuto il sapore aspro della segretezza, dell’inciucio.

Soprattutto però al Lingotto avvenne una cosa che in pochi hanno voglia di ricordare: nacque una forza politica nuova, sì, ma frutto della fusione dei due partiti che avevano ereditato la tradizione cattolica e quella comunista in Italia. Sì, perché Margherita e DS altri non erano che [una buona parte] ex Democrazia Cristiana ed Ex Partito Comunista Italiano.

La storia ha fatto il suo corso, Veltroni non è più ‘quel’ Veltroni, è arrivato Renzi ed oggi tutti vediamo quello che succede sotto i nostri occhi ma sopra le nostre teste [curioso come ciò possa capitare, ma tant’è].

Viste le premesse difficilmente smentibili, insisto quindi a stupirmi dello stupore altrui; basta mettere in ordine i fatti:

Il PD nasce dalla fusione di due anime molto differenti in nome di una vocazione maggioritaria
Il PD nasce con una legge elettorale che adesso non esiste più
Il PD nasce con una fortissima vocazione riformista
Ora, non occorre un Nobel per fare la somma di tutto questo, credo. Le due anime del PD non si sono mai fuse del tutto e i grumi che non si sono mai amalgamati resistono e persistono ad avvelenare il dibattito interno del partito.

La futura legge elettorale molto probabilmente vedrà il sistema proporzionale come architrave del testo.

Le riforme si sono schiantate contro il NO del 4 Dicembre 2016.

La questione quindi non dovrebbe essere ‘scissione sì o no’, perché tutte le condizioni politiche presenti alla nascita del PD semplicemente non esistono più: è il Partito Democratico che è morto il 4 Dicembre, non Renzi.

Per cui, tenendo conto del fallimento delle riforme e di una legge elettorale che premierà le coalizioni [a meno che un singolo partito non prenda il 40% dei voti, come no..] non c’è che da prendere atto del fallimento di una stagione politica.

Non è un dramma la scissione, ma lo sono i suoi motivi formati da un micidiale miscuglio di miopia politica, personalismi, culto della personalità e confusione generale. Chi lo vive da vicino [o da dentro] sa bene che ogni partito, non solo il PD, ha all’interno i germi di continue faide interne, correnti, vere e proprie bande.

Bisognerebbe rammaricarsi del fatto di essere tornati all’era politica di 20 anni fa piuttosto che avere paura di una scissione che nei fatti è avvenuta mesi fa.

Sarà necessario trovare molte mediazioni, mettere in cantina il bipolarismo e in soffitta la vocazione maggioritaria, e soprattutto rendersi conto che ogni cosa, dalla migliore alla più triste, prima o poi finisce.

Si prenda atto: chi vuole andare vada e chi vuole rimanere resti, e poi per l’amor del cielo si ricominci a fare politica per un paese che ne ha disperatamente bisogno.

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