Parlamento

Quindi licenziamo anche i parlamentari assenteisti o fannulloni?

4 Gennaio 2015

L’ira contro il comportamento dei vigili romani è abbastanza giustificata, nonostante le difesa di un agente ospitata su Gli Stati Generali. Ma, uscendo un po’ dal contenuto della querelle, risulta irritante ascoltare gli sproloqui di parlamentari e consiglieri di varia risma contro l’assenteismo, divenuto d’improvviso una priorità politica.

La ridda di dichiarazioni contro la presunta neo-casta dei vigili urbani ha riempito le pagine dei giornali, con numerosi novelli crociati anti-fannulloni. Il messaggio, in chiave elettorale, è di sicura presa sugli italiani, stufi di disservizi e di comportamenti poco rispettosi nei confronti dei contribuenti. Insomma, i vigili hanno sbagliato la strategia di protesta, eppure ogni intervento del parlamentare di turno fa venire una gran voglia di difenderli.

La prima domanda che viene in mente è: come la mettiamo con i parlamentari – ma pensiamo anche ai consiglieri comunali e regionali – assenteisti e/o fannulloni (quelli che non presentano leggi, non partecipano alle votazioni senza addurre motivi)? Dando uno sguardo ai dati di Openpolis, oltre 40 – tra deputati e senatori – hanno una percentuale di assenze superiore al 50% delle votazioni, che significa circa 3.500 assenze nelle rispettive Aule di appartenenza. Si tratta di un numero non clamoroso, statisticamente poco inferiore al 5%, ma che riguarda comunque un numero considerevole di parlamentari. E soprattutto il dato del 50% di presenze, preso come esempio, è già benevolo: chi potrebbe salvarsi dal licenziamento lavorando anche un terzo rispetto a quanto previsto?

Appare quantomeno ingiusto che un parlamentare, lautamente retribuito, possa concedersi il lusso di disertare i lavori dell’Aula e poi bacchettare gli “italiani assenteisti”. Mi scuso preventivamente con chi è stato costretto ad assentarsi per motivi di salute, ma purtroppo i regolamenti delle due Camere non prevedono alcuna documentazione per spiegare le ragioni della mancata presenza. Né tantomeno è possibile conteggiare la partecipazione alle sedute nelle commissioni. Allora perché non prendere spunto dal caso-vigili a Roma per mettere mano ai regolamenti di Camera e Senato? 

Magari Matteo Renzi, attraverso uno dei suoi poderosi tweet presidenziali, potrebbe chiedere di dare il buon esempio, invece di pontificare esclusivamente sulle cattive abitudini degli italiani. Mi rendo conto che il licenziamento del parlamentare è una mera fantasia provocatoria, in quanto di difficilissima applicazione. Tuttavia si potrebbe immaginare un meccanismo “punitivo” – in termini pecuniari – nei confronti di chi se ne infischia delle sedute in Parlamento oppure gioca con l’iPad durante i lavori. Meno presenze e meno produttività portano a uno stipendio più basso*. Non sarebbe uno scandaloso vulnus democratico.

Lo ammetto: questo ragionamento è di stampo populista ed è dettato da una provocazione verso i novelli crociati anti-fannulloni di cui prima. Ma non è altrettanto populista cavalcare il caso dei vigili romani a fini elettorali?

*Aggiornamento: nelle disposizioni attuali vengono decurtate 206,58 euro dalla diaria (che non è lo stipendio, ma uno dei rimborsi previsti) per ogni giorno di assenza durante le votazioni elettroniche. Tuttavia è considerato presente il parlamentare che partecipa almeno al 30 per cento delle votazioni effettuate nell’arco della giornata.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.