Parlamento

Qualche webete in meno (e non solo) con il collegio uninominale anglosassone

8 Dicembre 2016

Collegi uninominali, why not. Con candidati che siano già residenti da 4-5 anni nella “contea”, giusto ad evitare il trecartismo del Mugello o di una Finocchiaro del caso piazzata in Friuli, le “fritturine” in Campania e la proliferazione dei Mr Preferenze della trinacria. Codificazione per legge delle primarie nazionali e di collegio, anagrafe pubblica degli eletti, riforma del regolamento dei gruppi parlamentari con l’istituzione del Chief Wip, why not. Erano i primi anni 90 quando si iniziò a discuterne. Eravamo a contare le macerie di Mani Pulite che chiuse le saracinesche dei partiti, regalandoci Berlusconi col finto partito liberale di massa e Bossi con un falso federalismo metamorfizzatosi poi nel nazionalismo della domenica di Salvini. Sullo sfondo, allora, v’erano i referendum elettorali. Eppure se ne discusse seriamente senza minacciare chissà quale apocalisse. A pensarci bene, persino la prima stesura del Mattarellum, al tempo prodotta dall’attuale primo magistrato d’Italia, andava almeno in questa direzione.

Quando Pannella propose il modello anglosassone secco a turno unico, si sentì rispondere da Bertinotti e Casini che quel sistema non poteva sposarsi poiché c’erano “tradizioni storiche da salvaguardare”. DC, PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI e via andare. Ora che quelle tradizioni sono state sucate senza vergogna alcuna (si perdonino per un attimo sicule licenze lessicali), non ci stanno più manco quegli alibi. E hai visto mai che magari, di tradizioni, se ne ripristinano almeno due chiare e distinte: progressisti da una parte e conservatori dall’altra, in alternanza tra loro com’è giusto che sia. Quirinale come Buckingham e Palazzo Chigi come il 10 di Downing Street, insomma. Avessero coraggio, cominciassero intanto da lì.

Ad averlo avuto peraltro prima quel coraggio, anche solo quattro anni fa. Forse avremmo avuto qualche webete in meno da scie chimiche in meno e in seria difficoltà in un faccia-a-faccia di collegio. Erano anni in cui, non appena un webete ti raccontava che la terra è piatta, in un confronto di collegio potevi pur sempre stampargli in faccia le foto di Parmitano. Ora é un tot tardi, chiaro. Ma non non è mai troppo tardi conquistarsi una legge elettorale degna di tale nome. Tardi perché bene-o-male in questi quattro anni qualcuno dei neofiti populisti e non, nel frattempo, si è attrezzato e formato: hanno avuto tempo per maneggiare non solo nuovi e vecchi media ma soprattutto regolamenti parlamentari e strumenti legislativi con cui prendere confidenza (benché altri, webeti son nati e webeti resteranno). Non è mai troppo tardi perché si indurrebbero un minimo le forze in campo a trovare qualcosa di meglio nell’ingaggio del personale politico e rimediare ai disastri dell’ultimo miglio dei partiti: il famoso e tanto evocato “territorio” che al referendum costituzionale ha risposto come ha risposto (ove non fossero già bastate le amministrative di loro).

Qualcuno, parafrasando una citazione contesta tra Longanesi e Missiroli, potrà ben dire che “le leggi elettorali non si possono fare perché ci conosciamo tutti”, ci mancherebbe. Questa tastiera scriverà pure che, come la giri-giri, perfino col modello anglosassone poi finisce che chi vince governa e chi perde pure, giusto a non smentire “tradizioni storiche” se è per questo. Com’è anche pur vero però che quando dovrai poi tornare al tuo collegio, sei hai fatto minchiate del decimo livello, non ci sarà più giustificazione che tenga (se ne perdoni il siculo lessico una seconda volta). Su tutti valga come esempio il territorio scozzese, che a Miliband presentò un salatissimo conto. Nessun sistema elettorale è immune da bug, per carità. Ma c’è chi – come questa tastiera e per quanto valga – migliori architetture alternative non rintraccia. Un modello da prendere in considerazione rispetto ad improvvidi sistemi autrosomalocubani edificati da un paio di geometri comunali toscani da Scuola Radio Elettra e qualche maneggione, chetino di nascita e fiorentino di laurea.

Twitter: @scandura

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