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In un paese diseguale, il “fondo per la maturità” di Letta è una bella notizia
Questo contributo è stato scritto a quattro mani con Gaia Brambilla.
Nella mito di Edipo, consegnato all’eternità da Sofocle, il protagonista non appena scopre di aver ucciso il padre e giaciuto con la madre si cava gli occhi con le spille della sua amante nonché progenitrice. Edipo non ha colpe, ma su di lui grava il destino nefasto della sua stirpe. Si tratta di un tema centrale all’interno dell’intera tragedia greca: la colpa del γένος, che si ripercuote di generazione in generazione.
Lo sforzo delle società moderne è stato proprio svincolare il destino del singolo da quello della sua famiglia: a chi nasceva in una famiglia povera venivano dati gli strumenti e le opportunità per realizzarsi nella vita ed, eventualmente, arricchirsi.
Questo meccanismo si è ormai inceppato. Da almeno trent’anni assistiamo a una crescita delle disuguaglianze, con i ricchi che diventano sempre più ricchi mentre la classe media vede via via diminuire il suo benessere.
Per far fronte a questa situazione, cercando di rilanciare anche i temi della giustizia sociale, nel corso degli anni sono state fatte varie proposte. Tra queste quella di una dote ai più giovani al compimento della maggiore età.
Dote ai più giovani: da dove viene la proposta?
Tra i pionieri della misura Ackermann e Alsott: in “The stakeholder society” viene avanzata la proposta per cui, al compimento del diciottesimo anno d’età, ogni giovane ha diritto di condividere e ricevere una quota-stake, per l’ appunto-di ricchezza generata e accumulata dalle generazioni precedenti la sua. Da qui la prima forma di egualitarismo asset-based, con la duplice funzione di patto intergenerazionale e di redistribuzione di ricchezza.
Atkinson, pur riprendendo l’ idea base, ne modifica i presupposti: non un ammontare fisso ricevuto una tantum, ma un capitale frutto di un accumulo naturale nel tempo, legato al godimento in passato degli assegni familiari. Pertanto, al raggiungimento della maturità, si avrebbe diritto ad una quota pari a x/18 dell’ eredità minima dalla data di inizio riscossione di tale contributo economico.
Partendo da considerazioni non dissimili, nel 2003 il governo del Regno Unito ha implementato il Child Trust Fund, un conto risparmio a lungo termine alimentato da un contributo statale di 250 sterline alla nascita e la stessa somma depositata al compimento del settimo anno d’età del bambino. Un fondo aperto ai versamenti familiari con un tetto massimo ammontante a 1200 sterline annuali, riscattabile una volta raggiunta la soglia dei 18 anni e senza vincolo di impiego per tale somma. Tale misura verrà messa in discussione nel 2010 e con l’adozione del Savings Accounts and Health in Pregnancy Grant Act cesserà definitivamente di esistere.
Vi è altresì un precedente italiano: tra il 2004 e il 2006 Massimo Livi Bacci, docente presso l’ Università di Firenze, propose la creazione di un “Fondo per i nuovi nati” con finalità esplicitamente demografiche e mancante della componente redistributiva. Si tratta di un fondo costituito da una componente monetaria vincolata e riscattabile solo al raggiungimento della maggiore età del beneficiario e da una componente “free” prelevabile dai genitori in qualsiasi momento per sostenere le spese di mantenimento del bambino.
Tra i presupposti di tale strumento vi era quella di uniformare e semplificare la normativa vigente in merito ai contributi familiari erogati dallo Stato e, indirettamente, fornire un sostegno alla natalità per uscire dall’ inverno demografico.
Più recentemente Thomas Piketty, nel suo Capitale e Ideologia, ha avanzato un disegno su tale tematica. La proposta, chiamata “Inheritance for All”, consiste in un trasferimento monetario di 120 mila euro- o meglio, del 60% della ricchezza nazionale media- al compimento dei 25 anni. Questa dote sarebbe finanziata da un aumento delle tasse sui più ricchi.
Una proposta simile è stata fatta dal Forum Disuguaglianze e Diversità, guidato dall’ex ministro Fabrizio Barca. A differenza di quella di Piketty, la proposta del Forum consiste in un trasferimento di 10 mila euro al compimento dei 18 anni. Questa cifra, spiegano nel documento di presentazione, non sarebbe vincolante, ovvero chi la riceve non ha alcun condizionamento sull’utilizzo di quel denaro. Si tratterebbe infatti di responsabilizzare il singolo individuo, per non parlare della difficoltà nello stilare una lista di condizioni.
A portare la proposta al grande pubblico è stato il leader del Partito Democratico Enrico Letta.
Nei primi mesi del governo Draghi egli ha infatti sostenuto una dote di 10 mila euro ai 18enni, sulla falsariga di quanto proposto dal Forum. Nella proposta del PD la dote è però vincolata a spese per istruzione e formazione, casa e alloggio, imprenditoria. Inoltre, a differenza della proposta del Forum e di Piketty, non andrebbe a tutti, ma sarebbe vincolata all’ISEE. Per finanziare questa proposta, ha chiarito il Segretario del Partito Democratico, bisogna procedere con cautela: non è infatti possibile finanziarla a debito, viste le precarie finanze del paese. I soldi verrebbero invece da un aumento dell’imposta di successione, che nel nostro paese è più bassa rispetto ai corrispettivi europei e non solo.
Perché è una buona idea
La proposta di Enrico Letta e del Partito Democratico va nella direzione giusta. Sia per quel che riguarda quello che ci piace chiamare Fondo di Maturità, ovvero il trasferimento monetario di 10mila euro, sia sul fronte delle coperture attraverso l’aumento dell’imposta di successione per le fasce più abbienti.
Per capire l’importanza della proposta partiamo dal trasferimento monetario. Il Fondo di Maturità, ovviamente, non ha finalità di azzerare le disuguaglianze e livellare i punti di partenza. Ma è uno strumento utile, seppur parziale, per ristabilire una situazione di maggiore uguaglianza delle opportunità.
Garantire un tesoretto da investire in attività che andrebbero poi a beneficio dell’intera comunità permetterebbe infatti una maggior libertà circa le altre spese che un giovane deve affrontare- anche quelle più banali come fare la spesa o gli svaghi. La letteratura ha a lungo indagato le conseguenze psicologiche della povertà giungendo alla conclusione che non esiste alcuna forza di richiamo: la povertà non spinge gli individui a impegnarsi di più rispetto ai loro partner più agiati. La povertà infatti significa non soltanto mancanza di mezzi materiali, ma anche di attenzione e capacità.
Un fenomeno denominato “Burden of Poverty” che è stato indagato in un esperimento tra il New Jersey e lo stato di Tamil Nadu: nelle decisioni finanziarie la performance dei cittadini più poveri peggiora nettamente in presenza di un esborso consistente, fenomeno che non si presentava invece in quelli più ricchi. Secondo i ricercatori la povertà avrebbe un impatto sulle funzioni cognitive pari a un’intera notte priva di sonno.
Per questo un trasferimento monetario è preferibile rispetto, ad esempio, a un taglio delle tasse sul lavoro relative ai redditi dei più giovani, come invece proposto da Carlo Calenda.
Innanzitutto perché una proposta di questo tipo sarebbe indirizzata soltanto ai giovani che hanno un lavoro. Così facendo si taglierebbe le gambe a tutti quelli che un lavoro o non ce l’hanno o sono impegnati negli studi.
L’iniquità è una cifra caratteristica della proposta di Calenda: andando a intervenire solamente sul reddito di lavoro non si andrebbero ad aiutare i giovani nella prima parte della loro maturità ovvero negli studi. Ancora una volta mentre i più agiati potrebbero permettersi studi e una vita agiata i più poveri si ritroverebbero a dover correre per trovare un lavoro, rischiando così di dedicare meno tempo agli studi e alla loro vita personale.
Veniamo ora al finanziamento della proposta, che è tutto fuorché slegata dal problema delle disuguaglianze e della mobilità sociale.
Per comprendere meccanismo e finalità del Fondo di Maturità infatti è necessario adottare una prospettiva di ampie vedute e inquadrare tale strumento all’interno dei crescenti squilibri patrimoniali e intergenerazionali.
Se la situazione è pessima dal lato delle disuguaglianze di reddito, è invece tragica la crescita delle disuguaglianze relative all’ accumulo di ricchezza materiale.
In un loro lavoro del 2002 gli economisti Bowles e Gintis osservavano che, tra i meccanismi intergenerazionali di trasmissione delle disuguaglianze, di particolare rilievo erano quelli relativi all’accumulo di grandi patrimoni e all’ immobilità di tali capitali.
Lasciti ereditari, disuguaglianze sociali e mobilità intergenerazionale sono fenomeni legati indissolubilmente: per esempio l’economista Bloise in “The Poor Stay Poor, the Rich Get Rich: Wealth Mobility Across Two Generation in Italy” stima al 27% la probabilità di far funzionare l’ascensore sociale nel caso in cui si erediti un immobile, dimezzandola invece nel caso in cui non si disponga di tale lascito patrimoniale. Si intenda tale cifra riferita a lasciti immobiliari medi e si lascia al lettore intuire come successioni patrimoniali elevate o elevatissime contribuiscono ad acuire e a fossilizzare le disuguaglianze sociali.
Poiché quindi la distribuzione dei patrimoni è più diseguale di quella dei redditi, ecco che diventa chiaro la necessità di finanziare il Fondo di Maturità con una tassa sul patrimonio piuttosto che con un’ imposizione fiscale aggiuntiva sui redditi.
D’altronde nel nostro paese la situazione lascia ampio spazio di manovra, soprattutto per quel che riguarda l’Imposta sulle Successioni.
Il nostro paese infatti presenta franchigie piuttosto alte e manca di progressività. Questo si riflette nel gettito dell’imposta. Secondo i dati nel 2018 il gettito dell’imposta in Italia si è fermato a 820 milioni di euro, corrispondente allo 0.11% delle entrate totali. In Francia il gettito è stato di 14.3 miliardi, in Germania di 6.8 miliardi, nel Regno Unito di 5.9 miliardi e infine di 2.7 miliardi in Spagna.
Un aumento dell’imposta nel nostro paese è quindi necessario. La proposta del Partito Democratico non andrebbe a intaccare i piccoli patrimoni, lasciando inalterata la franchigia a 1 milione di euro in linea diretta e a 100mila per fratelli e sorelle.
Non un silver bullet
Come detto in precedenza la proposta non mira ad eliminare le disuguaglianze sia tra generazione sia interne alla nostra generazione. Vi sono almeno due motivi.
Il primo è che oltre a un capitale puramente monetario chi proviene da famiglie più agiate detiene un capitale sociale, fatto di relazioni e norme che derivano proprio dall’ambiente sociale in cui il singolo è immerso.
Oltre quindi ad avere una disponibilità economica da poter spendere in università private, corsi all’estero e via discorrendo chi proviene da una famiglia più abbiente si troverà la vita facilitata proprio dalle conoscenze e dagli incentivi che gli verranno forniti dal network in cui è inserito. Si tratta di un tema su cui anche la letteratura economica ha cominciato a focalizzare la sua attenzione, come dimostra un recente lavoro di Jackson.
Il secondo motivo riguarda il mondo del lavoro.
I giovani oggi rischiano di essere intrappolati in una serie di lavori precari, sottopagati e con poche tutele, scarse prospettive di carriera: mancano i cosiddetti “Good Jobs”. Le riforme del mercato del lavoro fatte in questi anni, purtroppo anche dal centrosinistra, hanno disincentivato l’accumulazione di capitale sociale preferendo invece una competizione sui salari e sulle tutele. Ciò ha anche effetti sul nostro sistema imprenditoriale, che non garantisce più alle aziende floride di prosperare spingendo fuori dal mercato quelle che invece non investono in formazione e innovazione.
Il problema delle disuguaglianze nel nostro paese è urgente. La proposta del Fondo di Maturità ci pare andare nella giusta direzione per attaccarlo, ma non basta: serve una strategia a tutto tondo in grado di combattere iniquità e privilegi che bloccano la crescita dell’economia e la realizzazione degli individui.
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