Parlamento
Per Matteo Renzi sarà, comunque vada, una situazione “win-win”
L’approssimarsi del 4 Dicembre – e quindi della fatidica data che farà esprimere gli Italiani sulla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi e la sua maggioranza – sta iniziando anche ad aprire riflessioni e retroscenismi vari su cosa accadrà “dopo” il voto. Già si scrive di chi potrebbe sostituire Renzi come premier se perdesse il referendum, o di come potrebbe infliggere la più pesante delle ritorsioni nei confronti dei rematori contrari nel suo partito se riuscisse ad agguantare la vittoria.
Ma forse quello che si sta dimenticando, o facendo finta di non valutare, sono le conseguenze politiche che verranno prodotte dal voto. Val a dire, i rapporti di forza che governeranno il futuro prossimo del sistema politico-istituzionale italiano, comprese le nuove elezioni generali che si dovranno tenere al massimo entro il febbraio del 2018. Infatti comunque andrà il Referendum costituzionale un vincitore già può essere riconosciuto: Matteo Renzi.
Si proprio lui. Perché con la chiara definizione degli schieramenti in campo, i fronti contrapposti sono ben delineati. Il Sì è rappresentato plasticamente ed unicamente dal segretario del Pd, che si sta gettando nella mischia della campagna referendaria con tutta la sua forza, confrontandosi e/o scontrandosi con tutto e tutti: costituzionalisti, partigiani, giornalisti più o meno autorevoli, populisti, politici rancorosi,etc.
Perfino una parte del suo partito, la cosiddetta minoranza dem, è rappresentata dal circo mediatico-informativo come una dei campioni del fronte del No, forse anche come la sfida più politicamente difficile da affrontare per il premier-segretario. L’ultima riunione dei suo avversari è stata illuminante in questo: D’Alema insieme a tutti i reperti più o meno archeologici della I° e II° Repubblica, cioè i vari Paolo Ciro Pomicino, Fini, Ingroia, Rodotà, Lamberto Dini, Brunetta, Calderoli ed altri maggiorenti Leghisti, Gasparri, Guido Calvi, addirittura un estraniante Pippo Civati (!!!) a cui tutti i cronisti chiedevano che effetto poteva fargli tale compagnia.
Qualunque sarà l’esito del voto infatti Matteo Renzi si troverà in una posizione che ricorda una famosa pubblicità andata di moda in quesi anni: “ti piace vincere facile?“. Potrà arrivare anche una debacle per il novello costituente, potrà finire anche con un tennistico 60 a 40, ma quelli saranno per molto tempo i suoi voti, soltanto suoi, che non dovrà dividere con nessuno, ma che anzi saranno ancora più fidelizzati se adempirà la promessa iniziale, cioè quella di rispettare ed adeguarsi alla sentenza arrivata dalle urne elettorali. Tutti gli altri – dai restauratori dell’ancien régime, al blocco delle Destre, alla fronda sinistrorsa fino alla marea montante del populismo pentastellato di Grillo – dovranno dividersi il successo del No e difficilmente potranno insidiare il campo del Si occupato militar-politcamente dallo “sconfitto vincente”.
E una legge elettorale proporzionale – pur se realisticamente sarà una sciagura per la stabilità del Paese – non potrà far altro che rendere il segretario Pd il banco della nuova fase politica che inizierà, senza passare dal quale nessuno governo, nessuna maggioranza, saranno possibili nel futuro Parlamento.
Se nella sfera pubblica italiana ancora si riuscisse a ragionare razionalmente, nessuno dotato di fiuto politico lascerebbe in mano al giovane fiorentino una via d’uscita del genere, sia da destra che da sinistra avrebbero fatto in modo di non abbandonare un presidio di consenso e proposta elettorale così vasto. Ma se tutto ciò fosse anche vero, come sarebbero potuto esistere nel Paese un non-partito al 30% che ha come leader Beppe Grillo e fa di nome M5S? Per la politica italiana sembra proprio non valere l’aforisma “sbagliare è umano, perseverare è diabolico“.
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