Parlamento
Non è più fondata sul lavoro!
“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Così la Costituzione definisce il nostro Paese nella contemporaneità, stabilendo tra lavoro e democrazia il rapporto fondativo della stessa idea di cittadinanza.
L’identità democratica dell’Italia dipende quindi dalla centralità del lavoro e della sua qualità, nella vita delle persone e nell’ecosistema sociale.
Questo Governo renziano invece, si sta identificando in un’azione progressiva di demolizione di questo presupposto.
E’ un’altra l’idea di lavoro che sta alla base dei provvedimenti più rilevanti assunti finora: il Jobs-Act (anche con il suo demansionamento delle funzioni professionali) e soprattutto il DDL sulla Scuola, stanno strutturando un concetto di lavoro basato sulla subalternità e sulla gerarchizzazione, in cui l’obbedienza e la “flessibilità” totale vengono imposti a chi lavora, eliminando progressivamente e rapidamente le garanzie di rappresentanza organizzata del mondo del lavoro (e non penso soltanto ai Sindacati), e rottamando persino gli strumenti giuridicamente fondativi della dignità e dell’equità delle condizioni di chi lavora: i Contratti collettivi, validi “erga omnes”, per legge, capaci di sottrarre al ricatto del padrone più forte il lavoratore-individuo, la cui esistenza dignitosa dipende unicamente dalla possibilità di conquistare, mantenere e qualificare il proprio lavoro, su cui costruire il proprio progetto di vita.
Le otto deleghe previste dal DDL sulla scuola a questo in gran parte si riferiscono: orari di lavoro, prestazioni, servizi professionali, valutazione e incentivi, spogliati di ogni tutela e del concetto stesso di “diritto”, de-contrattualizzati e affidati alla “capacità organizzativa” dei superiori gerarchici che decideranno anche di questo, oltre che di quali docenti assumere, di quali gratificare economicamente e di quali, eventualmente, licenziare.
E’ il modello-Marchionne quello che ha dato l’imprinting alle “riforme” renziane. Nel primo ‘900 lo si sarebbe definito da “padrone delle ferriere”, oggi lo si traduce (impropriamente) nel nesso managerialità/produttività, ma quello rimane, un modello autoritario di organizzazione del lavoro, che non motiva la qualità e lo sviluppo delle “risorse-umane” chiamate ad eseguire e ad obbedire, pena la perdita della premessa stessa della propria sopravvivenza.
Non è un modello più moderno, al passo con i tempi competitivi della globalizzazione, che proprio sulla qualità e sulla motivazione delle “risorse umane” puntano per raggiungere gli obiettivi della produttività più avanzata. E’ un modello da liberali ottocenteschi, altro che “rottamazione”!
Nel ‘700 e nell’’800 l’equazione di John Locke Proprietà=Libertà aveva guidato le rivoluzioni contro l’assolutismo e sostenuto culturalmente l’ascesa della borghesia come classe “rivoluzionaria”, capace di travolgere l’antico regime e di affermare un nuovo ordine libero dai privilegi.
Nella contemporaneità, (e la nostra Costituzione l’ha anticipato in modo straordinario), è l’equazione Lavoro=Democrazia ad indicare la rotta da seguire per procedere verso livelli di sviluppo sempre più avanzati, per elevare la qualità dell’uno e dell’altra in maniera interdipendente.
Perché un lavoro sempre più liberato dalla sottomissione e valorizzato nella sua capacità di autonomia costruisce le basi non solo culturali, ma anche economiche e giuridiche di una democrazia sempre più forte e più inclusiva, capace di superare le marginalità, capace di combattere efficacemente la povertà, che ancora rimane lo spettro, e non soltanto nel Terzo mondo, di un pericolo reale.
Una forza politica che voglia trasformare profondamente la nostra società, in senso non diciamo di sinistra, ma almeno progressista, non può tornare indietro di un secolo nell’idea di lavoro che propone e che realizza, in un’Europa in cui la sfida oggi si gioca sulla capacità di costruire un’economia sociale di mercato solida e solidale che qualifichi un modello continentale di larga scala e lo renda competitivo rispetto alle altre grandi economie continentali del mondo di oggi.
La “rottamazione” del dittatorello mediatico italiano sta puntando invece a distruggere soltanto i diritti di chi lavora, e quindi la dignità sociale di un intero popolo, scambiando questo per modernizzazione ma desertificando invece una cultura economica e democratica che proprio in Europa ha avuto storicamente la sua origine. Forse non a caso, in Europa, l’Italia conta poco politicamente, pur rappresentando la terza economia del continente.
Perché nella leadership politica contano le idee, non la telegenia comunicativa. E l’idea di lavoro dell’Italia renziana è subalterna ad interessi nascosti, oltre che conveniente per quelli padronali manifesti.
Con idee subalterne non si porta un Paese verso il futuro. E con questa idea di lavoro si tradisce anche la Costituzione.
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