Parlamento

Le aspirazioni suicide del PD (partito dei lemming). Ma Annibale è alle porte…

10 Agosto 2019

Una leggenda molto diffusa sostiene che i lemming (piccoli roditori della tundra) si suicidino in massa buttandosi in mare, quando il branco diventa troppo affollato. Le recenti esternazioni di molti esponenti PD sulla crisi di governo fanno pensare che le aspirazioni suicide di massa siano proprie anche del secondo partito d’Italia.

Atteniamoci ai fatti. Matteo Salvini ha dichiarato che non esiste più una maggioranza, e chiede di andare a elezioni il prima possibile. L’obiettivo del ministro degli interni è chiaro: cercare di capitalizzare l’enorme consenso politico di cui gode prima del redde rationem finanziario, di un Mario Draghi nuovamente privato cittadino (come ricordava ieri il direttore Jacopo Tondelli), di un forte rallentamento dell’economia con effetti seri sull’occupazione, e chi più ne ha più ne metta.

Salvini ha dalla sua i sondaggi, che danno la Lega al 37%, e gli alleati in pectore dei Fratelli d’Italia a quasi il 7%: insieme i due partiti sovranisti avrebbero così la maggioranza sia alla Camera che al Senato, e potrebbero formare il governo più a destra dell’intera storia dell’Italia repubblicana. Se invece la coalizione a guida Lega includesse Forza Italia, si arriverebbe a un governo di (centro)destra con una maggioranza travolgente. In grado di varare, quindi, quelle riforme (presidenzialismo, autonomie, riforma della giustizia) che porterebbero al sostanziale superamento dell’attuale Costituzione.

Il PD invece è dato a quasi il 22%. Molto meno della Lega, un po’ più del Movimento 5 Stelle, che supera il 17%. Nella sostanza, una disfatta, una Caporetto vera, che consegnerebbe il PD ad anni di opposizione più o meno inerte. Perché il tandem Salvini-Meloni, o il tridente Salvini-Meloni-Berlusconi, sarebbe, con tutta probabilità, assai più duraturo dell’improbabile alleanza Di Maio-Salvini (che infatti aveva iniziato a scricchiolare già pochi mesi dopo essere stata stretta).

Inoltre difficilmente l’opposizione sarebbe un tonico per un PD già logorato dalle faide e dalle polemiche interne: probabilmente si spaccherebbe tra i sostenitori di un’opposizione popolare con il M5S, i fan di un’intesa liberale con i resti di Forza Italia (qualora Berlusconi rimanesse fuori dall’alleanza con i sovranisti), e magari un gruppetto minoritario di “duri e puri”. In poche parole, l’estinzione. Inghiottiti dalle acque dell’Artico, come i lemming suicidi della leggenda.

Ipotizziamo che Salvini opti per un’alleanza solo con la Meloni. Dato che Lega più Fratelli d’Italia a oggi fanno circa il 44% (e nulla esclude che all’alleanza tra sovranisti si aggreghi pure un terzo polo guidato dal presidente della regione Liguria Giovanni Toti), e che il PD è al 22%, che cosa induce Zingaretti, Calenda, Giachetti ecc. a pensare di poter raddoppiare i voti in una manciata di mesi? Un’alleanza con qualche partitino dal 2 o 3% dei voti? Un’apertura poco convinta a sinistra? La forza del pensiero magico?

Nemmeno prosciugando gran parte del bacino dei voti del M5S, il PD potrebbe superare la coalizione sovranista. E per la cronaca, nessuno sembra ricordare come il solo leader di centrosinistra in grado di vincere delle elezioni nazionali, Romano Prodi, ce la fece creando veri e propri carrozzoni elettorali; enormi coalizioni difficilissime da gestire, che includevano personaggi come l’indimenticabile Franco Turigliatto o l’inossidabile Clemente Mastella, ma cruciali per battere Silvio Berlusconi. Senz’altro sfibranti, simili coalizioni ebbero comunque il pregio di portare avanti riforme importanti, come le liberalizzazioni bersaniane, e di dare al centrosinistra, nel complesso, quasi sette anni di governo.

Interessante, in particolare, il caso di Carlo Calenda: straordinario quando ricopriva il ruolo di ministro dello sviluppo economico, mente brillante, dal suo account Twitter invita oggi a combattere il “pericolo mortale” di un esecutivo sovranista andando “adelante” verso nuove elezioni. Ma quanto ha preso Calenda nel Nordest, alle europee, dov’era capolista PD? 275mila preferenze, in una delle macro-regioni italiane a lui più favorevoli (non esiste imprenditore manifatturiero del Nordest che non adori, giustamente, il piano Calenda).

Un ottimo risultato; però quante preferenze ha preso Salvini? Oltre mezzo milione. Si badi: il Nordest non è solo il Veneto leghista, ma il Trentino-Alto Adige dal cuore democristiano, il Friuli-Venezia Giulia policromo, e soprattutto l’Emilia-Romagna rossa. Calenda viene dal mondo delle aziende, e sa bene che i numeri contano. Il PD nel Nordest non ha i numeri, e non li ha neanche nel Nordovest, a parte Milano e poco altro.

Ancora più interessanti le parole di Roberto Giachetti, che pure è politico di esperienza, e alle primarie dem ha ricevuto 200mila voti. Alla domanda del giornalista di Repubblica sulla possibilità di una maggioranza assoluta in mano a Salvini, la risposta di Giachetti è stata: “secondo me nella condizione attuale lo svolgimento naturale dell’attuale soluzione politica è andare a votare. Non possiamo prendere altre strade pensando che sennò vince o stravince Salvini […] Ragionare con i ‘se’ è complicato, in politica”.

Ragionare con i ‘se’ è complicato? Chissà se pensavano lo stesso Cavour, Giolitti, De Gasperi. La politica – la vera politica – è anche strategia. Da veterano della politica qual è, Giachetti sa bene che le elezioni possono avere impatti profondi e molto duraturi sulla vita di milioni di persone (pensiamo a cosa sarebbe successo in Italia, nel 1948, se avessero vinto comunisti e socialisti). Ecco perché le elezioni non si possono improvvisare, e richiedono ponderazione, strategia, pensiero lungo, calcolo accurato. Il PD è attrezzato per queste elezioni? Come è messo con la Costituente delle idee?

La verità è che nessuno, nel PD, era pronto a elezioni così ravvicinate. Neanche il pur astuto Matteo Renzi. Salvini, facendo cadere il governo a pochi giorni da Ferragosto, ha preso tutti in contropiede. È l’effetto sorpresa, che come sapevano Senofonte, Napoleone e Rommel, è spesso decisivo, per battere gli avversari. Ma se il tuo avversario cerca di batterti, spingendoti in una trappola letale (come fece sul lago Trasimeno Annibale, con i romani), tu non ti fai fregare, e aspetti. Temporeggi. Un condottiero evita di farsi imporre il campo di battaglia dal suo avversario. Specie quando l’avversario si chiama Matteo Salvini, che sta alla campagna elettorale come il generale Annibale alla guerra.

Forse temporeggiare non fa ottenere i titoloni sui giornali, e non eccita le folle plaudenti su Twitter, ma fu Quinto Fabio Massimo il Cunctator (Temporeggiatore) a salvare Roma, non l’irruente ma suicida Gaio Flaminio. Fabio, qui cunctando restituit rem, scrisse Ennio; qui bellum Punicum secundum enervavit, chiosò Cicerone.

Temporeggiare talvolta è vita, perché la vita è tempo, specie quando non hai uno Scipione a portata di mano. O per citare i fabiani inglesi, progenitori della socialdemocrazia europea, «per il momento è necessario attendere, avere molta pazienza, come Fabio quando combatteva contro Annibale, anche se molti criticavano il suo ritardo; ma quando arriva il momento bisogna colpire duro, come fece Fabio, o la vostra attesa sarà vana e infruttuosa».

Risparmiare a un paese stremato l’ordalia di un’altra campagna elettorale sarebbe doveroso. Specie quando il rischio, se si perde (cosa assai probabile), è quello (se si vuole dar retta a Calenda) del “pericolo mortale” di un governo sovranista. Ancora, sfuggire a masochistici automatismi pavloviani (Al voto! Al voto!), alla grancassa dei media, sarebbe intelligente. Dare tempo agli italiani di riprendersi, di ragionare a mente fresca, di valutare con calma i programmi concreti di Lega, PD, M5S o Forza Italia, sarebbe patriottico.

E intanto lavorare in Parlamento (in fondo è questo il dovere di chi viene eletto in Parlamento dagli italiani…), con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, senza ideologismi e snobismi, per portare avanti le riforme a difesa dell’economia, disinnescare l’aumento dell’IVA, mettere al sicuro i conti, e soprattutto alleviare le pene di 5 milioni di italiani in povertà assoluta. Ne ha scritto ieri Francesco Cancellato su Linkiesta.

Zingaretti, si legge oggi sul Corriere della Sera, non vuole caricarsi “sulle spalle l’onere della prossima finanziaria”. Ma fare politica significa anche, soprattutto, caricarsi oneri, e questo Zingaretti, in quanto governatore di una grande regione come il Lazio, lo sa bene. Caricarsi pesanti oneri sulle spalle fu ciò che fece Prodi innumerevoli volte, a scapito della propria popolarità.

Inoltre una finanziaria d’emergenza potrebbe contare sulla benevolenza dell’Europa. Perché lo spettro dei sovranisti a Palazzo Chigi sortisce, sul fronte liberal-moderato che comanda a Bruxelles, Parigi e Berlino, lo stesso effetto che aveva sui banchieri di Londra o sui Congressmen di Washington l’immagine dei cosacchi che facevano abbeverare i propri cavalli alle acquasantiere di San Pietro. O Salvini-Meloni, o si allentano i cordoni della borsa, per restituire un po’ di risorse a scuole, ospedali, cantieri, giovani, PMI.

Uomini di valore come Giuliano Pisapia (sempre oggi sul Corriere della Sera) chiedono le elezioni. “Una buona campagna elettorale, con proposte concrete, unitarie ed effettivamente realizzabili, può avere successo”. Questo ha detto l’eurodeputato milanese. Ha ragione. Ma solo in una situazione psicologica collettiva meno eccitata, ed eccitabile.

Tra chi insulta i neri quando salgono sul treno (il sottoscritto è stato testimone di un paio di spiacevolissimi episodi), chi evoca scioccamente una nuova Piazza Loreto (il Cielo ce ne guardi!), e chi chiede un default purificatore (che avrebbe conseguenze mostruose su tutti quanti, e darebbe il colpo di grazia al nostro manifatturiero), è evidente come il paese stia perdendo la brocca.

Serve un po’ di calma. Un ritorno alla lucidità. Una nuova campagna elettorale ora sarebbe come dare una pasticca di ecstasy a una persona in preda alla rabbia e al nervosismo. Davvero si vuole così poco bene al popolo italiano? Davvero lo si vuole costringere a sorbirsi l’ennesima campagna elettorale a base di insulti, colpi bassi, schizzi di fango, isterie, scoop veri o presunti? Davvero si vuole fare questo regalo alla speculazione internazionale? Per giunta con le elezioni americane all’orizzonte (novembre 2020 è vicino), che renderanno il quadro internazionale ancora più incerto, e i mercati nevrastenici.

Mai con il M5S? La saggezza popolare insegna: “Mai dire di quest’acqua non ne bevo”. Forse il PCI non diede la non sfiducia alla DC, nel 1976? Qualcuno dirà: ma Andreotti non era Di Maio; se è per questo, non si vedono Berlinguer, nel PD. Forse la missione storica del PD è proprio questa: preservare ciò che resta della Repubblica che i nostri nonni, e i nostri padri, ci hanno lasciato. Forse si tratta di un ruolo conservatore. Ma talvolta è meglio conservare (e conservarsi), e pazientare, che scomparire tra le esternazioni. Si tratta di virtù antiche, stoiche, da Roma repubblicana, ma pur sempre virtù. Le acque dell’Artico sono molto fredde, anche in autunno.

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