Parlamento
L’amministratore e la pasionaria si contendono il PD
Come ampiamente prevedibile, il congresso del PD non scalda gli animi della popolazione. Tra guerre, mondiali di calcio e polemiche sterili lanciate quotidianamente dal governo, gli italiani appaiono più interessati ad altro. Non si possono certo biasimare e non è detto che sia un male per il PD.
Per una volta, il PD potrebbe scegliere un segretario in modo serio, senza avere tutti gli occhi addosso, perché fuori dai giochi del potere e debole dal punto di vista mediatico. Il PD potrebbe essere quindi costretto a interrogarsi su quale sia la strada giusta per rappresentare il popolo del centrosinistra.
- Il partito dei Sindaci
I dirigenti hanno tutto il tempo per riflettere, ma non è detto che la loro riflessione sia proficua, perché potrebbe essere distorta dalla sovrapposizione tra partito e amministratori locali. Il PD ha infatti perso quell’organizzazione capillare che strutturava i partiti di massa e ne plasmava la linea politica. Chi è rimasto nel partito assume le cariche amministrative anziché quelle politiche.
Di conseguenza, i segretari locali contano ben poco rispetto ai sindaci e agli altri amministratori. L’unico segretario che esercita un ruolo rilevante è quello nazionale. Lui discute la linea politica con la segreteria e le candidature con i capi corrente. Al tempo stesso, il segretario è sottoposto alle continue pressioni esercitate dagli iscritti più importanti, ovvero i sindaci delle città metropolitane e i presidenti di regione.
Si è creato di fatto un partito dei sindaci, dove la buona amministrazione diventa l’unica cosa che conta. La candidatura a segretario nazionale da parte di Stefano Bonaccini potrebbe portare all’estremo questa situazione. Il miglior governatore si candida non tanto per portare avanti le sue idee, quanto perché è bravo ad amministrare la cosa pubblica. Malgrado i tentennamenti iniziali, gli altri sindaci e presidenti di regione lo sosteranno in nome del buon governo.
- L’alternativa
Solo assidui frequentatori del Parlamento, come Dario Franceschini, e giovani intelligenti, come Peppe Provenzano, hanno già preferito la candidatura di Elly Schlein. Lei è una giovane di buona famiglia, che ruota intorno al PD da alcuni anni. Ex deputata europea apprezzata per il suo spirito da pasionaria che la porta a esprimere parole nette e radicali.
Elly Schlein potrebbe rappresentare la rivincita della politica contro il partito dei sindaci. Il PD avrebbe la possibilità di affrancarsi dalla logica perdente dell’opposizione costruttiva fatta solo di proposte concrete. Questo atteggiamento è utile per ritornare ad amministrare una città o una regione, ma è in genere inconcludente a livello nazionale. Alle elezioni politiche, i cittadini votano infatti in maniera molto più astratta, seguendo il proprio istinto anziché la concretezza dei programmi.
Il PD ha quindi l’opportunità di eleggere chi ricorda agli elettori quelle parole d’ordine che si concentrano sui diritti civili, sulla redistribuzione di risorse, sulla giustizia sociale e su quella climatica. Elly Schlein ha infatti capito che una forza di sinistra deve far leva su queste questioni per poter suscitare entusiasmo nel proprio elettorato.
Elly Schlein potrebbe ridare vigore a un partito che rischia di trasformarsi in una sorta di apparato burocratico parallelo, destinato a perdere sempre di più il suo ruolo di indirizzo politico. Un partito che si limiterebbe a riflettere decisioni prese all’esterno, dalla NATO, dall’UE e dai Ministeri.
- L’importanza della ricostruzione
Ovviamente la candidatura di Elly Schlein ha dei limiti, come la scarsa esperienza e la poca incisività delle proposte. Anche il fatto di essere amata dalla sinistra da salotto non è un punto a suo favore. Tutto ciò è innegabile, ma non può squalificarla. Perché rimane la persona ideale per ricostruire il PD in questo preciso momento.
Oggi il PD non ha una base solida che concorre a elaborare una proposta politica che diventa espressione di una segreteria tenuta a dettare la linea. Scelte scellerate insieme a inesorabili cambiamenti storici rendono utopica la creazione di un partito davvero strutturato. Se il PD fosse ancora un partito di massa, il segretario migliore sarebbe Vincenzo Amendola, uomo saggio, già ministro e già segretario dell’Unione Internazionale della Gioventù Socialista.
Ma in realtà, il PD ha perso gli iscritti, ha perso la base, ha perso la bussola, seguendo religiosamente i dogmi del buon governo. Serve chi possa riavvicinare il popolo di sinistra al partito, ricostruire le fondamenta, ripristinare la convergenza con il M5S e provare a vincere le elezioni nel medio periodo. Solo a quel punto il PD potrà provare a ritornare a essere un partito vero, che autoproduce la classe dirigente in grado di guidarlo.
Altrimenti, si rischia di completare la trasformazione in un partito impegnato ad amministrare bene, come se fare politica significasse solo fare proposte logiche, coerenti e moderate. Come se gli altri partiti avessero vinto le elezioni grazie ad abili amministratori locali, anziché grazie a personaggi che hanno intuito quali parole d’ordine il proprio elettorato voleva sentirsi dire.
(Immagine da Facebook)
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