Parlamento

La stoltezza politica di Bersani, D’Alema e co.

30 Gennaio 2017

Non finisce mai di deludere il cupio dissolvi in cui la cosiddetta minoranza del Pd si è cacciata e dal quale vuole trascinare dentro, definitivamente, l’intero partito. Le giravolte politiche ormai hanno superato un conteggio ragionevole, devastando anche la minima credibilità residua (tra le ultime, ma non meno impressionante, quella rispetto le sorti del governo Gentiloni: prima da sostenere con un appoggio esterno, ora con la necessità che vada avanti fino al 2018 poiché dovrebbe affrontare ben altri problemi sociali come il lavoro, l’immigrazione, la manovra finanziaria, etc.). Vedere per credere la propaganda di Roberto Speranza nel suo post su Facebook riguardo il verdetto della Consulta sull’Italicum: rivendicato come successo di una battaglia personale, in verità cassa l’unico punto della legge elettorale su cui la sinistra era d’accordo da decenni ovvero il doppio turno, mentre capolista di collegio e pluricandidature rimangono. Per non parlare della guerra totale lanciata sempre tramite lo stesso social network ed interviste Tv dal possibile candidato alla segreteria e presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, di una virulenza incredibile pensando che si rivolge in quel modo al suo partito, al suo legittimo segretario. Forse solo i grillini si esprimono così contro il Pd. Massimo D’Alema invece è quello che ha rotto proprio gli indugi, minacciando concretamente il primo serio tentativo di scissione, chiamando a raccolto riservisti per ricostruire un centro-sinistra che proprio il leader massimo ha boicottato e sabotato nei suoi anni vincenti.

Pierluigi Bersani è quello che almeno tenta un discorso più profondo, più aperto ad una diversa prospettiva di governo e allo stesso tempo alla nuova fase mondiale determinata dalla Reazione Globale. E’ un tentativo però che maschera soltanto la furibonda lotta di potere interna al Pd, svelata anche essa da un semplice post in cui l’ex-segretario denuncia l’avventurismo politico se si votasse con i capolista (questo quindi sarebbe il problema principale in cui è attanagliato il Paese?!?). Ma il più grave deficit in tutte queste posizioni sta proprio nella incapacità di farsi alternativa credibile, incarnando invece quotidianamente il volto di una faida combattuta solo per la gestione del potere (tramite il partito, quindi il governo), richiamando schemi vecchi, sconfitti sia elettoralmente sia storicamente.

Perché questa nostalgia per l’Ulivo dimostra infatti l’inconsistenza di tali posizioni. Quale attrattiva può avere verso le giovani generazioni, gli esclusi, i deplorables, una storia ormai antica, conclusa e compiuta con la creazione dello stesso Pd? Una stagione che ha replicato la terza via blairiana e clintoniana in Italia (che bisognerebbe oggi invece superare secondo gli stessi…)? Che ha aperto la strada della precarizzazione nel mondo del lavoro? Che aveva come obiettivo la modernizzazione delle istituzioni nel solco della riforma costituzionale bocciata il 4 dicembre dagli elettori? Che ha portato il Paese ad aderire all’euro ed a questa costruzione tecnocratica e germanocentrica dell’Ue?

Infatti non sono credibili, come dimostra ancora il grande consenso che Renzi possiede tra i militanti del Pd e che tutti i sondaggi certificano. Che fare, però? Un grande dilemma su cui sembra impantanato però lo stesso ex-premier e che si avrà modo di affrontare in un’altra occasione.

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