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LA POLITICA E LE PAROLE CHE NON VANNO OLTRE
Di questi giorni rimarrà la poltiglia dei commenti e l’isterico balletto del toto nomi per la successione a Giorgio Napolitano. Resterà il racconto di una Corte di Assise riunita presso il colle più alto e di una Procura della Repubblica improvvidamente chiamata in causa da un manipolo di Deputati a esprimersi sul patto del Nazareno. La storia che si scriverà di queste ultime settimane di politica italiana passerà dalle vette dell’analisi della sconfitta di Obama e su come da quest’ultima si possa preconizzare la potenziale fine di Renzi, e giungerà agli abissi di un gelato leccato da un ministro che per il solo fatto di essere donna si è meritata la copertina di un direttore in vena, parrebbe, di compiacere l’editore.
Questo scorcio di 2014 ci ha riservato di nuovo la certezza che siamo ancora qui, in mezzo ad un guado in cui la nuova sponda ancora non è in vista e la vecchia troppo lontana per essere riguadagnata. Le parole oscillano tra il passato e il presente, tra il di qua e il di là, rimarcando nuovamente una distinzione spaziale che non si riconosce più in destra e sinistra, ma non trova casa in altre geometrie. Ed è di questo bisogno di ordine, di un posto solido in questo mondo liquido, che pare di sentire la necessità nel dibattito di questi giorni. Quasi che, come emerge da una serie di focus group fatti sui giovani adulti italiani, la società postmoderna in cui i punti di riferimento si mescolano e si confondono come in un patchwork, sia diventata un ambiente politicamente inospitale.
E su questo punto mi sembra che la comunicazione politica, quella dei politici e quella sulla politica, sia in cortocircuito. Attardati entrambi, politici e commentatori, in vecchi schemi e vecchi racconti che spiegano le riforme sulla base di quanto sono intensamente di sinistra (o di destra), che persistono a descrivere la classe dirigente di questo paese come l’orizzonte del malaffare e allo stesso tempo il mezzo attraverso il quale cercarsi visibilità. E’ in queste cornici che si capiscono meglio le scelte di chi ha voluto portare il Colle in tribunale per fargli dire cose già note, quelle di chi al tribunale vuol fare giudicare direttamente gli accordi politici. E in questo smarrimento in cui si brancola alla ricerca di simboli a cui aggrapparsi, si leggono gli Scalfari e i Travaglio disperatamente invocare legalità e illegalità, destra e sinistra come ancore che consentano di resistere ai marosi.
Nè con lo Stato nè con il Sindacato, dice Tondelli, chiamando al rapporto chi si sente in mezzo, in quel guado di confusione e incertezze in cui non si intravedono interlocutori e risposte. A me vien da dire che meglio sarebbe indicare una strada che va “oltre”, che sfugga dalle geometrie rettilinee e che ripristini una buona volta la terza dimensione della politica e della comunicazione, che diventi capace di afferrare discorsi ulteriori rispetto all’orizzonte di Renzi che è nuovo ma stenta a convincere alcuni e che sia drammaticamente altro rispetto allo sguazzare in acqua bassa di chi anela una sinistra che sia sinistra e sogna antiche geometrie.
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