Parlamento

La manifestazione della Lega non è illegittima, è solo ipocrita

28 Febbraio 2015

Non c’è niente da fare, laddove non arriva la fantasia ci pensa la politica. Fino a due anni fa immaginare un leader leghista a Roma per una manifestazione, era un lavoro da visionari; roba che al confronto Steve Jobs era un impiegato statale. Eppure è successo: la Lega si è rifatta il guardaroba e dopo le cravatte verdi ha deciso di indossare vestiti tricolori, inneggiando al patriottismo per un patto “contro lo straniero”.

Matteo Salvini se l’è cavata con poco: ha chiesto scusa ai meridionali e a Roma ladrona, annunciando di voler ripartire. Tutto legittimo da un profilo politico, ci mancherebbe. Come è anche legittimo il corteo romano dei leghisti (ammetto comunque che avverto i brividi lungo la schiena mentre scrivo una cosa del genere): sono state richieste le autorizzazioni per un raduno. E va bene così.

Ma la legittimità non può celare quella spessa coltre di ipocrisia che si adagia sulla strategia della Lega. Matteo Salvini, come tanti altri (uno dei quali è suo omonimo), si presenta come il nuovo che avanza, rimestando nel vecchio ritrito. Questa presunta ventata di novità, infatti, emana una zaffata di politicheria da Prima Repubblica e di inciucione da Seconda Repubblica. Un mix del peggio della politica italiana. Il cambiamento non riguarda un’alleanza, evento comprensibilissimo, bensì il rifacimento del dna di un movimento politico con la conseguente riscrittura delle parole d’ordine. L’unico elemento comune è l’individuazione del nemico: prima era il romano fannullone e il meridionale parassita, ora sono gli immigrati usurpatori delle italiche ricchezze e l’euro ammazza-poveri.

La bandiera secessionista, simbolo supremo del Carroccio dei primi tempi, è stata ammainata con tanti saluti agli indipendentisti settentrionali. A tal proposito sarebbe interessante conoscere il loro parere sulla mutazione genetica della Lega Nord. L’operazione raccontata i pasdaran della rivoluzione salvinista, con una certa benevolenza del mainstream informativo, segue in realtà un tragitto abbastanza scontato: reinventare un’offerta (un partito di destra aggressiva) che sappia rispondere a una domanda precisa (paura dell’immigrazione, del terrorismo e della crisi economica).

Dietro a questa presunta epopea leghista, ahinoi, c’è l’incrocio di due fattori ben noti: il vecchio calcolo politico che incrocia il nuovo (nemmeno più tanto) strumento del marketing. Con un obiettivo: conquistare il potere, anche a costo di rinnegare se stessi.

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