Parlamento

La Costituzione secondo Meloni-Casellati: premierato o leggi fascistissime?

27 Dicembre 2023

Tra due anni ricorrerà il centesimo anniversario delle prime ‘leggi fascistissime’, quell’insieme di norme che, tra il 1925 e il 1926, trasformarono l’ordinamento del Regno d’Italia nel regime fascista. Il primo di questi atti, la legge n. 2263 del 24 dicembre 1925, aveva ridefinito attribuzioni e le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri che da quel momento sarebbe diventato ‘Capo del Governo Primo Ministro Segretario di Stato’. Oltre al nuovo, ‘fascistissimo’ titolo, la legge subordinava ministri e sottosegretari al Capo del Governo e superava il principio, proprio di ogni democrazia parlamentare, secondo cui il Capo del Governo risponde al parlamento, della cui fiducia necessita per poter esercitare le suefunzioni. Per una sinistra coincidenza, l’iter di approvazione della riforma costituzionale Meloni-Casellati rischia di concludersi proprio quando cadrà il centenario di quella legge che aveva sostituito la monarchia parlamentare con una dittatura totalitaria. Costruita attorno all’improbabile elezione diretta del premier, la riforma Meloni-Casellati non trasformerà la Repubblica italiana in uno stato totalitario. Tuttavia…

 

La riforma Meloni-Casellati vuole vincolare il destino del premier a quello del parlamento: se l’assemblea sfiducia il governo, si dovrà procedere con nuove elezioni; se il premier si dimette, si tornerà alle urne, fatta salva la possibilità, ancora da chiarire, che al Presidente della Repubblica sia concessa la possibilità di assegnare l’incarico di formare un nuovo governo a un altro parlamentare collegato al presidente del Consiglio. Tutto questo senza, peraltro, attribuire al premier il potere di nomina e revoca dei ministri, potere che hanno quasi tutti i primi ministri europei, ma che in Italia resterebbe prerogativa del Presidente della Repubblica. Insomma, un sistema opaco in cui i rapporti di forza tra esecutivo e legislativo saranno regolati più dal ricatto e da prove di forza che da chiare attribuzioni di competenze e funzioni. L’elezione diretta del premier – un caso unico nelle democrazie europee – non dà “più potere agli italiani” ma, al contrario, attribuisce a una sola persona, l’unica forte del voto popolare, la legittimazione a comandare senza curarsi di ‘forme e limiti della Costituzione’. Una strada che conferma un’allergia di fondo al sistema democratico di pesi e contrappesi. Non siamo al totalitarismo, ma il passo verso la “democratura” è breve.

 

Oggi in pochi dubitano della necessità di rivedere il ruolo del Presidente del Consiglio, che va allineato a quello delle maggiori democrazie europee. I punti fondamentali su cui intervenire, però, sono stati completamente ignorati dalla riforma in discussione: nomina dei ministri, rapporto di fiducia, sfiducia costruttiva. In primo luogo, va conferito al premier il potere esclusivo di nominare e revocare ministri e sottosegretari, con il Presidente della Repubblica che designa unicamente il premier. Inoltre, sarebbe il premier, e non tutto il governo, a dover ottenere la fiducia del Parlamento. Infine, con l’introduzione della sfiducia costruttiva, il Parlamento non potrebbe più votare una mozione di sfiducia verso il premier in carica senza contemporaneamente indicare un successore. Tre punti essenziali con cui ridefinire i ruoli senza stravolgere il sistema parlamentare e senza creare mostri giuridici di cui finiremmo per pentirci.

 

Il premierato è una cosa seria che, come insegnano i sistemi parlamentari europei, da quello tedesco a quello spagnolo, passando per quello britannico, serve a mantenere e rafforzare la netta separazione tra potere legislativo e potere esecutivo. L’elezione diretta del premier, sperimentata solo in Israele e abbandonata in fretta dopo cinque anni dalla sua introduzione, è un pasticcio pericoloso che apre la porta a scenari distopici. E, come i tentativi di Berlusconi e Renzi, anche la Meloni-Casellati rischia di essere un’altra occasione sprecata, destinata a schiantarsi contro un muro di no al referendum confermativo proprio nel centenario di quelle leggi fascistissime che avevano trasformato la fragile democrazia italiana in una dittatura.

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