Parlamento
Il referendum, la strada obbligata di Nicola Zingaretti
Un referendum innocuo e scontato ha generato un dibattito surreale in alcune bolle della società italiana. Il quesito è la summa politica del promotore Luigi Di Maio, architetto di minuscole rivoluzioni. Ogni manovra superiore sarebbe troppo ardita, per un politico giovane ma abbastanza navigato per ricordare la debacle renziana del 2016. Il ministro degli esteri ha intuito che una riforma importante e ricca di correttivi può essere indigesta all’elettorato. Meglio un semplice atto populista che solletica la pancia dei cittadini.
La riforma certifica lo scollamento tra il popolo e i propri rappresentanti. Per i cittadini diventerà ancora più difficile interfacciarsi con gli eletti. Si acuisce ciò che da anni avviene senza scomodare la costituzione, grazie a una classe politica autoreferenziale che non sa confrontarsi con il proprio elettorato se non per lanciare slogan populisti.
La riduzione dei rappresentanti ci consegnerà un senato oggettivamente troppo piccolo per funzionare. Probabilmente, sarà necessario riformarlo, mantenendo il presidio democratico, ma superando un bicameralismo perfetto che sembra ormai obsoleto. Inoltre, come ben argomentato dal giurista Pietro Adami su La Fionda, i partiti più piccoli avranno minori possibilità di essere rappresentati e ogni parlamentare otterrà maggiore potere contrattuale.
Ogni eletto conterà di più nel gioco di potere e avrà maggiori chance di ricatto. Due parlamentari sodali potranno decidere le sorti della maggioranza. Di conseguenza, possiamo attenderci la moltiplicazione dei Razzi e degli Scilipoti.
La riforma proposta complica un rapporto tra elettori ed eletti già sfiancato da anni di politica autoreferenziale e messaggi anticasta propugnati dai maggiori media, senza beneficio alcuno per i cittadini. Certifica la vittoria del sentimento antipolitico, maggioritario nel paese e cavalcato dal Movimento 5 Stelle, ma cresciuto e alimentato altrove.
Lo stesso sistema mediatico che si indignava per la casta, oggi vede il referendum come una catastrofe capace di inficiare la nostra democrazia. Una democrazia considerata fin troppo fragile, se può essere così messa a repentaglio. Critici con il governo per il ritorno del ruolo dello stato in economia, alcuni editorialisti predicono l’arrivo delle cavallette e crocifiggono il leader del partito che si trova nella posizione più delicata.
Nicola Zingaretti ha ben compreso che la riduzione dei parlamentari è uno schiaffo alla base storica del PD composta da élite urbane, diligenti attivisti e appassionati volontari. Al tempo stesso, la riforma è ben voluta dalla grande maggioranza dell’elettorato e quindi anche dei simpatizzanti del PD, che sostengono il centrosinistra, seppur non fidelizzati.
Il PD subisce il contrasto tra la militanza attiva, che riconosce alla politica la sua eccezionalità, e la base elettorale, meno ideologizzata e più populista. In tale contesto, il segretario del PD non può fregarsene né dei suoi elettori, né dell’alleanza di governo. L’operazione sacrifica la base di militanti, ormai assottigliata a causa di dodici anni di mala gestione del partito, e pronta a comprendere le difficoltà e le scelte del segretario.
La scelta di Zingaretti è frutto di una strategia di consolidamento con il governo e con l’elettorato. Una scelta che può restituire al PD quell’anima e quella coerenza che ha sempre faticato ad ottenere. Sfortunatamente, il segretario non appare in grado di difendere l’operato del governo dentro un partito che continua a credere ciecamente nel liberismo. Di conseguenza, si limita ad affermare di essere alternativo alla destra, senza rivendicare i buoni risultati in politica economica e palesando le gravi carenze in politiche migratorie, diritti civili e politica estera.
Nicola Zingaretti sconta il dramma di chi vuole essere coerente con la missione del governo ma non riesce a difendere le proprie scelte dagli attacchi che provengono da chi ha alimentato la passione antipolitica degli italiani. Al tempo stesso, la comprensione per le scelte del PD non permette di valutare positivamente un referendum che mortifica la politica e allarga il divario tra elettori ed eletti. E che ha causato un dibattito surreale quando le questioni essenziali per il paese e per i cittadini appaiono profondamente diverse.
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