Costume

Il privato pubblico e l’Italia del “caso” Sarti

14 Marzo 2019

Il caso dell’onorevole Giulia Sarti, ex presidente della commissione Giustizia della Camera, vittima della diffusione a mezzo web di alcuni scatti “privati”, ha riaperto il dibattito sullo scottante tema del revenge porn e sulla necessità di varare, con urgenza, una legge che punisca questa pratica. Mentre – giustamente – si susseguono sui media le dichiarazioni di solidarietà e sostegno nei confronti della deputata e di condanna nei confronti degli autori di questa operazione, sui social network si sprecano invece le irricevibili opinioni di chi, dal pulpito della sua specchiata morale, scaglia con vigore non una, ma cento prime pietre. Indegnità, indecenza, volgarità sono alcune delle parole chiave di questo “dibattito” a suon di like, che sembrerebbe rispecchiare un paese fatto d’irreprensibili cittadini, sconvolti e scandalizzati dalla possibilità che, a rappresentarli, sia una persona che si è concessa alcuni scatti “compromettenti”. Chiacchiere da bar, certamente, ma chiacchiere che riflettono un pensiero generalizzato che a sua volta, sottotraccia, rimanda a un piano valoriale e ad un’idea della distinzione fra pubblico e privato, a conti fatti, inesistente.

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L’elemento morale infatti, quotidianamente ignorato da una larga fetta della popolazione quando si tratta di “guardare a casa propria” e “lavare i panni sporchi in casa”, torna alla ribalta quando si passa al piano politico. Il dibattito pubblico degli ultimi decenni è stato infatti segnato da scandali, gossip e pettegolezzi, tanto, se non in misura maggiore, quanto da critiche politiche e attacchi rispetto all’operato dei singoli e dei partiti. L’elenco sarebbe piuttosto lungo e, in questo caso, quasi paritario in termini di genere: la vita del politico di turno sbattuta in prima pagina e i commenti sull’opportunità di un suo ruolo di responsabilità istituzionale “dato che…”. Mentre trovandoci a dover essere operati per un’appendicite non ci domandiamo se il chirurgo in sala sia o meno fedele alla moglie o non ci poniamo il problema delle abitudini in camera da letto della commercialista che deve compilare la nostra dichiarazione dei redditi, quando il privato di un’istituzionale, piccolo o grande che sia, viene a cozzare (volontariamente o meno) con l’idea comune di morale, l’opinione pubblica si sente in diritto di mettere in discussione le competenze, la capacità di svolgere l’incarico. Non stupisce però in un contesto, quello italiano, che da sempre si barcamena fra una concezione dello Stato come Stato di diritto o come Stato etico. Ne sono prova i continui attacchi alle leggi che coinvolgono il piano privato e personale dei cittadini e la difficoltà a portare avanti percorsi equilibrati e “laici” sui diritti civili (divorzio, aborto, fecondazione assistita, matrimonio egualitario, eutanasia sono solo alcuni esempi).

Lo stato deve essere garante della possibilità di libera espressione di diverse categorie etico morali o esprimere un giudizio, e quindi un indirizzo, in merito?

Le risposte sarebbero molto diversificate se si ponesse la domanda al singolo cittadino o al suo rappresentante politico, eppure sono una delle due opzioni garantisce, a tutti gli effetti, la possibilità al privato di esprimersi all’interno di un contesto “garantito” dal pubblico.

“Il personale è politico” si diceva negli anni Settanta, ma il privato non dev’essere mai pubblico.

Mettere la propria esperienza, talvolta anche intima, a servizio di una causa pubblica, può avere un enorme significato politico. La somma di singoli coming out, un fatto individuale ed esistenziale, ha creato le premesse per l’affermazione di alcuni importanti diritti civili e una sempre crescente lotta alla discriminazione. Raccontare la propria esperienza di discriminazione sul luogo di lavoro dopo un congedo per maternità può essere d’aiuto a tante donne che si trovano a combattere per il loro diritto alla conciliazione. Vedere pubblicamente esposti i propri figli in un circo mediatico sull’omogenitorialità – se non si è espressamente scelto di condividere un percorso con il pubblico – è una violazione, così come vedere in prima pagina scatti rubati alle proprie relazioni, ma ancor più grave è che, rispetto a fatti privati, ci sia un’opinione pubblica pronta a mettere in discussione la competenza politico amministrativa. Confusione di piani, sovrapposizione di contesti, che sembra, ad oggi, assolutamente inevitabile. Che fare quindi? Pensare che l’annosa questione della morale di stato venga risolta grazie ad una legge non è pensabile, l’impegno deve essere – in primis – individuale e culturale. Bisognerebbe imparare, come singoli, a disinteressarsi all’inessenziale e, come nel caso del sopracitato chirurgo, chiedersi ogni volta se e in che modo un fatto privato possa influire sulla capacità di esercizio di un ruolo.

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Rimane poi il sempre valido un saggio consiglio “vecchio” 2000 anni “Non guardare la pagliuzza nell’occhio del vicino, ma alla trave nel proprio”. Quella però sembra essere una lezione difficile da imparare anche per i più accaniti sostenitori della difesa morale del paese.

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