Parlamento

Idee per la svolta del Partito Democratico

23 Maggio 2018

Si apre una nuova fase nel paese, si apre una nuova fase nel Partito Democratico. Non c’è da essere ottimisti dinnanzi alla saldatura delle forze cosiddette populiste che probabilmente formeranno il Governo, non solo per le cose scritte nel “Contratto” ma anche perché un pezzo di società, che si è storicamente riconosciuto nei valori del centrosinistra, oggi si ritrova rappresentato da Lega e 5 Stelle. Riorganizzarsi diventa quindi essenziale, così come capire che tipo e che modalità di opposizione si vuole costruire: c’è chi sostiene che oggi occorra ripartire da una alleanza degli “antipopulisti”, insistendo ostinatamente nella costruzione di un campo rappresentativo degli inclusi, cioè di coloro che in questo sistema economico e sociale se la cavano più o meno bene, il che significherebbe gettarsi fra le braccia di un’alleanza eterna con quel che resta di Forza Italia. Una strada sicuramente percorribile, che però chiuderebbe definitivamente il canale del già misero dialogo con chi ha sofferto la crisi degli ultimi anni e, allo stesso tempo, finirebbe per cancellare le ragioni stesse per le quali è nato il Partito Democratico.

Esiste invece un’altra via (non sicuramente la “terza”), più difficile per l’evidente crisi organizzativa dei corpi intermedi che dura da decenni, ma senza dubbio più sincera e coerente: quella di lavorare ad un soggetto politico che sia capace di intercettare una rilevante parte del conflitto sociale che vive nel nostro paese e di trasformarlo in proposta politica.

Per farlo non serve recitare il solito mantra del “ripartire dai territori”, bensì dare la dimostrazione a chi quotidianamente affronta e vive le problematiche delle nostre comunità di poter vedere ed utilizzare il nostro partito come strumento di rappresentanza delle proprie istanze.

È troppo comodo dire “torniamo tra gli ultimi”. Ci si può anche tornare, ma, se quel pezzo di popolo continua a non riconoscere la nostra funzione, non potremo che rivedere il film delle campagne elettorali degli ultimi anni, quando i nostri gazebo e i nostri militanti venivano percepiti come corpi estranei rispetto al paesaggio nel quale provavano a portare il nostro messaggio.

D’altronde, quanti e quali sono i dirigenti promossi dal PD di questi anni che provengono da battaglie di rappresentanza nei luoghi del conflitto sociale? Pochi, una netta minoranza, e questo spiega anche la ragione per cui molti dei provvedimenti dei nostri governi, seppur di ottima qualità, non sono stati percepiti come sufficienti tra chi è stato colpito dalla crisi.

Non basterà la discontinuità, occorrerà una svolta di portata storica, che sappia leggere i fenomeni carsici che attraversano non solo il centro-sinistra italiano, ma tutti i principali partiti europei dell’arco di centro-sinistra.

Dovrà nascere una nuova proposta politica che non potrà che provenire proprio da quei luoghi in cui le diseguaglianze sono diventate moralmente ed eticamente inaccettabili. Se occorrerà fare una durissima opposizione al nuovo Governo, non potrà che essere interpretata esattamente da quei volti e da quelle storie che in prima persona verranno colpiti dalle misure che presto saranno attuate nel nostro paese. Si dovrà convincere il popolo degli esclusi che ci sono altri modi per far ascoltare la propria voce, e quindi lavorare per incanalare quella voce in forme di partecipazione che sappiano coinvolgere, emozionare e promuovere una proposta politica solida e credibile.

La credibilità è appunto il problema più delicato: gli attuali attori politici del nostro partito non possono immaginare di svolgere tutti i ruoli in commedia. Per questo servirà che ad intestarsi questo mandato vi sia un nuovo gruppo dirigente, che tragga anche da questa novità la capacità e la forza di essere attendibile dinnanzi l’opinione pubblica e che, anziché ricercare continuamente un colpevole da mettere alla porta, abbia la capacità di aggregare nuove forze, nuovi mondi e soprattutto sappia generare nuovi sogni, nuove emozioni, nuove speranze nei confronti di chi ancora ha l’ambizione di impegnarsi per cambiare il mondo.

Senza aspettare la benedizione di qualche capocorrente, si abbia il coraggio di intestarsi una battaglia politica durissima e senza alcun tipo di paracadute. Tale battaglia è quella di dimostrare che il Partito Democratico, dopo la caduta dell’impero, può tornare ad essere un soggetto politico aperto, plurale, contendibile.

Tutto questo passa inevitabilmente anche dalla capacità di mettere in discussione i paradigmi sui quali si è retta la sinistra europea degli ultimi 25 anni, ormai obsoleti rispetto alla sfide che la modernità ci impone, e di reinventare le modalità di partecipazione tradizionali, costruendo un’opzione realistica per l’uscita a sinistra dalla crisi del sistema politico.

 

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