Parlamento
Grillini, non si dimettono perché non sanno cosa fare
Dunque, è finito tutto. Ha ritenuto Di Battista che questa sia la peggiore sconfitta; ciò implicherebbe un meccanismo elementare nella deontologia politica: quello delle dimissioni. Così avveniva nella prima Repubblica per l’alto senso dello Stato e per il rispetto della dignità politica.
Ricordiamo, per esempio, le dimissioni dei presidenti del Consiglio De Mita e Massimo D’Alema o dei cinque ministri democristiani, quando fu votata la legge Mammì sulle televisioni di Berlusconi o quando si dimise, con acuta sensibilità politica, Mino Martinazzoli, appena seppe che Sindona si avvelenò in carcere con una tazzina di caffè.
Di Maio e tutta la delegazione grillina dovrebbero avere il pudore di lasciare lo scranno da ministri, perché il popolo così sta decretando ad ogni competizione elettorale. Il mitico 33 per cento subisce un’erosione irreversibile ed implacabile.
Gli italiani si sono svegliati:
1- dal torpore e dalla menzogna della demagogia,
2-hanno pesato e compreso come l’incompetenza e l’ignoranza siano insopportabili per la gestione della cosa pubblica;
3-hanno finalmente inteso che non è ammissibile che sia Facebook a stabilire con le sue visualizzazioni il meccanismo del consenso elettorale;
4-hanno compreso le bufale della democrazia controllata attraverso il web dalla piattaforma Rousseau.
5- Sono stufi dell’autoreferenzialità di vittorie inesistenti che il movimento Cinque Stelle si attribuisce sui social in soliloqui senza contraddittorio.
Se, dunque, il consenso elettorale non c’è più, bisogna prenderne atto ed agire di conseguenza. E si fa con le dimissioni, rimettendosi in gioco con la costruzione di una classe dirigente.
La parabola – ora discendente – dei grillini ha insegnato tanto.
Nella vita, in ogni ambito, ci vuole disciplina, sacrifici, studio, comprendere che non possono la semplificazione e l’apparenza sostituire il duro lavoro, la sostanza delle cose, che è difficile e costosissima da conseguire.
È possibile tenere agli Esteri un ministro che non conosce una lingua, neppure quella propria?
È concepibile tenere alla Giustizia un ministro che segue solo i giustizialisti, telecomandato dalla Magistratura ed inetto a tutelare la classe dell’avvocatura?
Gli è che purtroppo costoro non hanno un mestiere, una professione e quando scenderanno da cavallo, appiedati, non sanno cosa fare.
Perciò non si dimetteranno.Mai.
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