Parlamento
“Fatti più in là!”: ma Rodotà non demorse
Erano i giorni di Capaci, quel lugubre maggio 1992. La Sicilia terra di scontro violento, i funerali nella Chiesa di S. Domenico tra la folla urlante e le spintonate al Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, da poche ore eletto al Colle, strattonato malgrado l’aiuto di Peppe Ayala che cercava di difenderlo. In quei giorni drammatici si era consumato uno strappo, passato quasi inosservato, che invece avrebbe pesato moltissimo nella vita politica italiana a venire. Scalfaro era stato eletto prima Presidente della Camera, poi gli avvenimenti lo portarono al Quirinale. Il Vicepresidente a Montecitorio, in quota PDS, era Stefano Rodotà, in pole position per arrivare alla Presidenza della Camera. Nelle cronache televisive, era lui a scandire il nome del futuro Presidente e ci si aspettava che poi toccasse a Rodotà succedergli. Invece no! Arrivò un Alto Dirigente il 3 giugno e gli disse: “fatti più in là”. Lui rispettoso non fece una grinza ma da quel momento capì cos’è la politica in Italia. Quel Presidente, Napolitano, due anni dopo lasciò il seggio alla Pivetti perchè nel frattempo era cambiato il mondo, la politica e la storia.
La gestione di quella transizione fu costellata di errori che costarono al PCI la credibilità di un tempo. Quel tempo erano gli anni che vanno dai sessanta agli ottanta. La spinta in avanti di Berlinguer, coniugata con le riflessioni di Ingrao, Tortorella, la strenua difesa della tradizione operaia malgrado la crisi della scissione-Manifesto avevano fatto del PCI il partito che nelle elezioni del 1976 fu vicino al sorpasso. Poi nelle europee del 1984 collezionò un ricco 34%, ultimo miracolo di Berlinguer. Il grande errore fu non aver capito la sua lezione sulla questione morale e sui diritti civili e non aver puntato su Rodotà per sviluppare questo percorso. L’infinito braccio di ferro tra l’apparato dirigente e dirigista da un lato e le “teste pensanti” non omologabili dall’altro. E’ avvenuto nel PCI, avviene in tutti gli altri partiti, almeno quelli sopravvissuti.
Flashback. Una delle idee politiche più lungimiranti del PCI di quegli anni fu quella di dar vita alla Sinistra Indipendente. Chi erano? Mentre molti stessi dirigenti del partito erano apparatniki nel pensiero e nell’azione , gli indipendenti erano frammenti accesi della Società Davvero Civile, quella pulsante, intelligente e pensante, difficilmente omologabile.
Con uno di essi Tino Riccardelli, Magistrato, demmo sviluppo al Circolo “Il Ponte” a Milano negli anni ottanta e così chi scrive si mise alla caccia di possibili sostenitori e amici. Boris Ulianich, professore di Storia del Cristianesimo a Napoli, Andrea Barbato, giornalista e scrittore, Stefano Rodotà, l’Uomo che mette le cose al giusto posto, secondo la definizione felice di Luca Orlando (almeno questa volta d’accordo). Con Rodotà, poi reincontrato nell’Associazione art.21, finisce l’epoca dei saggi, colti, appassionati uomini della Vera Sinistra. Un grande merito l’ha avuto: ha dato colore ai diritti civili, è stato il Pannella di Sinistra con una preparazione giuridica e un afflato umano che ci mancheranno.
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