Parlamento
Di Maio non crede in nulla ma non vuole scendere da cavallo
Marco Travaglio nel suo editoriale di lunedì 20 giugno apparso su “Il Fatto Quotidiano“ ricorda le intempestive, incoerenti e contraddittorie dichiarazioni di Luigi Di Maio sulla Nato; commenta desolato: “Senza parole. Le ha consumate tutte, lui”.
Ezio Mauro, editorialista autorevole de “La Repubblica”, asserisce che Di Maio ha indossato “paramenti istituzionali” e si sta assistendo ad un suo percorso inverso: ha posato il gilet giallo, le forbici gigantesche che sceneggiavano in piazza il taglio dei parlamentari, i proclami sull’abolizione della povertà, per diventare dalla Farnesina il più fedele interprete della linea europea e atlantica che fa parte delle scelte naturali del governo Draghi (La Repubblica 20 giugno).
Forse non è chiaro che l’attuale ministro degli Esteri non crede in nulla: il suo vero ed unico obiettivo è quello di garantirsi una cadrega per le prossime elezioni. La polemica sulle armi o meno per l’Ucraina è pretestuosa, per renderlo ancora visibile, ma non sa neppure quello che dice, succhia la ruota degli altri ed appare atlantista,ma senza darne alcun significato politico. Nella vita non sa fare altro che aspirare al e mantenere il potere (bravissimo) spregiudicatamente, anche se questo lo porta inevitabilmente a dire e fare tutto ed il contrario di tutto, seguendo,a seconda del momento, o il vento demagogico o quello istituzionale.
Giravolte ineludibili e necessarie per sopravvivere.
Te lo ritrovi prima forcaiolo e poi garantista, rivoluzionario per il cambiamento radicale e successivamente custode sacerdotale degli apparati di potere.
Doroteo di razza pura!
Se ci fate caso nei suoi ruoli istituzionali non si ricorda nulla di quello che abbia fatto o detto: prima si trincerava dietro Conte, ora è l’ombra di Draghi.
Ma cosa dice, fa? Un ministro degli Esteri incolore, evanescente, evaporato nella sua quintessenza.
Perché cosa farà nella vita, dopo lo scioglimento delle Camere? Questo è il suo drammatico problema: nulla, perché non ha mestiere, titolo, lavoro.
Ed allora deve brigare, ordire trame, intessere relazioni, affaccendarsi per sperare in qualche candidatura.
Tutto qui: non ha pensiero, è vuoto, occupa una posizione ma solo per mostrarsi, esserci, dire : “c’ero pure io”.
Sta tremando all’idea di non avere-in un movimento che sta perdendo in caduta verticale tutti i consensi elettorali-un ruolo.
Con la paura di ritrovarsi isolato ed incandidabile o addirittura espulso.
Tragica fine.
Ma lui era il prodotto migliore di Facebook, dei social, il politico delle migliaia e migliaia di visualizzazioni, dei post pieni di demagogia e di livore.
Ecco il risultato: alla prova del lavoro, del costruire il nulla.
E briga solo per la gestione del potere: non vuole scendere da cavallo.
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