Parlamento
Cronache da un centrosinistra disunito
La campagna elettorale conferma che la costruzione di un centrosinistra in Italia è un’opera titanica. Malgrado il PD non sia mai riuscito a rappresentare l’intera opposizione alla destra, l’ultima vera coalizione risale all’Unione di Romano Prodi, quando il berlusconismo portò tanti partiti diversi ad associarsi tra loro.
Gli ultimi due segretari del PD, Enrico Letta e Nicola Zingaretti, hanno compreso la necessità di invertire la rotta e hanno parlato di un “campo largo”. La metafora bucolica non chiariva però quanto larga dovesse essere la coalizione e soprattutto in quale direzione dovesse andare. La scarsa chiarezza ha causato le giravolte estive.
1. Alla ricerca di una linea perduta
Enrico Letta ha prima dissolto l’alleanza con M5S. Poi ha provato a dialogare con i centristi di Carlo Calenda. Quest’ultimo si è sfilato non appena il PD ha raggiunto l’accordo coi verdi di Angelo Bonelli e la Sinistra di Nicola Fratoianni. La legge elettorale potrebbe rendere del tutto inutile l’apparentamento con Impegno Civico della strana coppia composta da Bruno Tabacci e Luigi Di Maio.
La confusione del centrosinistra deriva dall’assenza di una forte linea politica. Dal 1994, il centrodestra perpetra un’agenda economica liberista volta a incidere più sui lavoratori che sui salotti buoni della finanza italiana. Il centrosinistra ha invece applicato un’agenda liberista con “correzioni”.
Come il “campo largo”, le “correzioni” rimangono indefinite. Nel 1998, Massimo D’Alema ha provato correggere il liberismo attaccando ai poteri forti della finanza italiana. Peccato che negli anni delle privatizzazioni mancasse una solida industria pubblica che potesse appoggiare i tentativi dell’allora primo ministro. D’Alema provò ad affidare le ex aziende di stato a imprenditori fuori dal salotto buono e riuscì solo a essere considerato come una presenza oscura della politica italiana.
Dopo la sconfitta di D’Alema, gli altri leader si sono ben guardati di inimicarsi i salotti buoni che controllavano gran parte della stampa. L’unica parziale eccezione è stato Pier Luigi Bersani, ma non ha mai chiarito cosa la politica potesse effettivamente fare contro il precariato e la grande finanza. Personalità come Matteo Renzi e Romano Prodi hanno usato lo spauracchio della destra per applicare un liberismo che prometteva di essere più competente e più umano.
2. Le sfide di Enrico Letta
Quasi dieci anni fa, il governo di Enrico Letta si è mosso nella stessa ottica. Tornato da Parigi, il nuovo Letta si muove come un liberista pentito. Twitta contro la terza via blairiana e il precariato, critica aspramente misure sciagurate volute dal PD come il Jobs Act e la legge elettorale.
Malgrado le buone intenzioni, le parole non sembrano accompagnarsi ai fatti. Le contraddizioni emergono con le candidature. Ad esempio, nel collegio uninominale dove sono nato, ex roccaforte comunista, sono candidati Andrea Romano e Andrea Marcucci, entrambi fieri esponenti del centro liberale.
Le candidature però sono solo dei segnali che possono essere superati sviluppando una linea politica e una base elettorale concreta. Per anni il PD è stato votato principalmente da dipendenti pubblici e pensionati, specialmente nei centri delle grandi città e nelle campagne toscane e emiliane. Questa base ora si è assottigliata.
Per ritrovare una base, Enrico Letta applica una duplice strategia. Da una parte, effettua una comunicazione efficace sui diritti civili in modo da coinvolgere i giovani. Dall’altra si issa come alternativo a Giorgia Meloni, nella speranza di un ritorno a un bipolarismo destra-sinistra.
Sfortunatamente, i giovani interessati ai diritti civili sono spesso gli stessi abitanti dei centri delle grandi città, che già votano centrosinistra. Inoltre, la divisione dei blocchi elettorali ormai non fa leva sulle generazioni o sulle classi sociali, quanto sui territori. Questa divisione, mal si integra con il bipolarismo.
Gli elettori di centrosinistra sono stanchi delle solite promesse ma credono ancora nella possibilità di migliorare la propria situazione solo se progredisce anche chi sta peggio di loro. Non vogliono stravolgimenti, proprio perché fanno parte di un ceto medio basso che è disilluso ma non arrabbiato perché beneficia ancora di un certo grado di servizi e non si sente distante da chi detiene il potere.
3. Il ruolo del M5S
L’unico modo per consolidare e ampliare questa base dovrebbe essere quello di rivolgersi alle periferie cittadine e alle zone malandate del profondo sud. Ovvero le zone che contengono il vero disagio sociale di chi vive lo stato italiano come un organismo che pone tasse e si presenta esclusivamente al momento delle elezioni.
L’alleanza con il M5S avrebbe facilitato la riconnessione tra PD e questo elettorato. Giuseppe Conte è stato il primo premier che dopo tanti anni si è interessato a loro con i bonus, il reddito di cittadinanza e le vaccinazioni gratuite. Con tutti i limiti dovuti all’impreparazione e all’arroganza dei pentastellati, i due governi Conte hanno tentato di rappresentare chi è stato per decenni escluso dal gioco politico.
Il PD ha sbagliato ad abbandonare il M5S reo di aver tradito l’agenda Draghi. Gli elettori tradizionali del centro sinistra avrebbero sicuramente protestato per l’alleanza con degli incompetenti che hanno passato anni ad insultarli, ma si sarebbero turati facilmente il naso. Gli altri, avrebbero percepito il primo tentativo concreto di uscire dalle ZTL.
Il PD potrebbe comprendere di aver sprecato un’occasione dopo il 25 settembre. Il M5S potrebbe infatti essere la sorpresa di queste elezioni, aggrappandosi a un 15% che sarebbe una vittoria sull’ex alleato leghista. Infatti, le fasce di elettorato privilegiate da Giuseppe Conte sono quelle più difficilmente rilevabili dai sondaggi.
4. L’Unione Popolare
La sinistra di Unione Popolare merita infine una menzione. Luigi De Magistris è stato un magistrato populista ma un buon sindaco di Napoli. Ha creato un piccolo partito personale, demA, per allearsi a Rifondazione Comunista e ai centri sociali che ruotano intorno a Potere al Popolo.
De Magistris ha provato a unire i duri e puri di sinistra. Malgrado la soluzione identitaria e il rischio di partecipare alla competizione elettorale per pura testimonianza, la coalizione presenta un populismo che rimane lontano dalle sirene no vax e putiniane. Inoltre, non si può che rispettare Rifondazione Comunista. Malgrado tutte le batoste elettorali, rimane un partito abbastanza radicato sul territorio, in grado di raccogliere le firme necessarie per presentare le candidature.
Chiunque voglia votare per mantenere i diritti civili e provare a ottenere l’agognata giustizia sociale può provare, a seconda delle preferenze, con la coalizione che ruota intorno al PD, Unione Popolare o M5S.
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