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Condanne, intimidazioni e sequestri: la libertà di stampa è davvero una priorità
Non è ormai una questione di (auto)difesa della professione giornalistica, né tantomeno di graduatorie sulla libertà di stampa. Il problema dell’informazione in Italia è esploso con una sequenza di casi, diversi da loro ma comunque impressionanti, avvenuti nell’arco di poche ore: il sequestro del sito Bufale un tanto al chilo (Butac), l’intimidazione a Federica Angeli con la busta di proiettili ricevuta, l’azione legale da 39 milioni di euro (sì, proprio 39) nei confronti del cronista di inchiesta Nello Trocchia, la condanna a 4 mesi di Davide Falcioni, giornalista di Fanpage.it. Senza dimenticare il caso di Jacopo Iacoboni, ‘cacciato’ dal summit casaleggiano di Ivrea, alla stregua di ‘ospite non gradito’.
Sono, appunto, situazioni con varie peculiarità, ma unite dallo stessa tema: i granelli messi nel meccanismo per inceppare la libertà di stampa. Dall’intervento massiccio, nel caso di Butac per una querela alla querela con una richiesta di risarcimento pesantissima per Trocchia c’è l’intero spettro dell’uso che viene fatto della querela contro la stampa. La storia di Falcioni, invece, racconta come in Italia fare davvero il giornalista sia rischioso: è stato giudicato colpevole di aver raccontato un’occupazione dei Notav in maniera diretta, entrando in un edificio ‘occupato’, senza ricorrere a testimonianze. Ha fatto quello che dovrebbe essere l’abc del giornalista. La vicenda di Angeli è una delle tante – ahinoi – di cronisti minacciati (peraltro lo stesso Trocchia è nell’elenco). Infine, la storia di Iacoboni è l’emblema del rapporto, distorto, tra potere – non solo politico – e informazione. Anche quando il potere è quello rampante, travestito da ‘novità’.
Nell’era delle classifiche sulla libertà di stampa, è facile scivolare nella retorica, nella lagnanza fine a se stessa. E sinceramente poco importa cosa incida di più sulla prossima graduatoria, che indicherà l’Italia in una posizione bassa, magari al pari qualche Paese africano assunto come modello negativo. Al di là delle statistiche, utili a mettere insieme alcuni indici, la questione in Italia si pone come un problema è serio. Addirittura grave. Esistono organizzazioni a tutela dei giornalisti, certo. Ma serve qualcosa di più: l’impegno del nuovo Parlamento, per esempio. Nella scorsa legislatura è finita nel pantano la legge (tutt’altro che risolutiva) sulla diffamazione, a testimonianza della scarsa attenzione dedicata al fenomeno. In questa nuova legislatura, ammesso che parta davvero, occorre qualcosa di più, uno scatto in avanti, guardando soprattutto al precariato, allo strumento delle querele. Senza dimenticare le condanne al carcere per diffamazione a mezzo stampa. Altrimenti lo scivolamento verso il basso non riguarda solo la libertà di stampa. Ma la qualità della democrazia.
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