Parlamento

Come finiscono le Commissioni parlamentari d’inchiesta

1 Febbraio 2018

Il 22 ottobre 1958 fu istituita la prima commissione bicamerale d’inchiesta (quella del 1955 sulle condizioni dei lavoratori pubblicherà la relazione finale 10 anni dopo in 28 tomi!).

Il suo compito era di “esaminare il comportamento degli organi della pubblica amministrazione in ordine alla cosiddetta Anonima banchieri”. Più esplicitamente si trattava di indagare sul caso Giuffrè, una truffa bancaria che aveva scosso l’opinione pubblica nei mesi precedenti.

Giovanni Battista Giuffrè era stato cassiere di una filiale di Imola del Credito Romagnolo; licenziato (sotto forma di “dimissioni” volontarie) per varie scorrettezze, si era ingegnosamente messo in proprio: dal 1949, complice una sempre più vasta rete di parroci, ecclesiastici, dirigenti dell’Azione Cattolica, fino a parlamentari e ministri, raccoglieva dai “depositanti” (tra cui anche ordini religiosi) fondi con la promessa di rendimenti astronomici (60-70-90%), naturalmente pagati con i nuovi afflussi di raccolta. Ai parroci ricambiava il favore ristrutturando chiese e costruendo seminari, canoniche, case, cinema, teatri e oratori. (“Monumenti questi che non ritraggono il volto o la persona di un uomo, ma ne cesellano l’anima, nella mite penombra di una umiltà francescana, nella linea luminosa di una carità immensa” firmato: una sfilza di abati, abbadesse, canonici e monsignori della Diocesi di Cesena, settembre 1956). Senza alcuna ironia veniva chiamato “il banchiere di Dio” e per lungo tempo ebbe fama di disinteressato benefattore con protezioni “in alto” e, nel 1955, persino una Commenda al merito della Repubblica.

“L’immensa carità” non era che il classico Ponzi game: si pagano interessi elevatissimi non con l’investimento dei fondi raccolti ma attingendo dai nuovi flussi (…. finché ce n’è). Considerato che anche Carlo Ponzi era un italiano, verrebbe da dire che siamo davanti a una vera e propria specialità nazionale: pizza, spaghetti e Ponzi game.

Per capire come Giuffrè operava si può leggere (nella Relazione parlamentare) la sua risposta a un parroco che gli aveva chiesto un finanziamento: “Nel quadro delle mie beneficienze, non è compresa la voce prestito; c’è bensì quella del contributo. Lei deve spendere lire 4 milioni; è necessario che Ella me ne mandi 2 milioni, così io tenendo i 2 milioni sei mesi li faccio diventare 4 e mi piglio un anno di tempo, da tale data, per pagare eventuali lavori murari, acquisti ecc. dando agli aventi causa parte in contanti e parte in cambiali. Se poi vuole versare denaro (sempre però per lavori murari) io posso darle il 30 semestrale od il 90 annuale posticipato”.

Come tutte le “catene di S. Antonio” anche questa arrivò alla crisi finale, non prima di aver creato un giro di svariati miliardi di lire (10 miliardi di lire del 1958 equivalgono a circa 130 milioni di euro oggi) e un buco di analoghe dimensioni.

Anche se la televisione continuava a far finta di niente (Carlo Gregoretti, “I tabù della televisione. Anche Giuffrè non esiste”, L’Espresso, 21 settembre 1958), la maggioranza parlamentare non poté ignorare oltre la faccenda e istituì, su proposta dell’on. Giovanni Malagodi, la Commissione bicamerale che chiuse i lavori in meno di 2 mesi, dopo 20 sedute e 51 testimonianze.

Tra l’altro venne fuori che molte indagini erano state fatte (Carabinieri, Guardia di Finanza, Banca d’Italia,…) fin dal 1953, a seguito di una denuncia del Vescovo di Camerino, Mons. Giuseppe D’Avack, ma erano tutte finite sul binario morto dell’archiviazione, facendo leva sia sull’indiscussa fama di “filantropo” di cui godeva il Giuffrè, sia sulla motivazione che la Legge Bancaria dell’epoca definiva l’attività bancaria sottoposta a Vigilanza come l’attività congiunta di raccolta del risparmio ed esercizio del credito mentre era “assolutamente pacifico” che Giuffrè non erogava credito.

Da notare che Giulio Andreotti fu Ministro delle Finanze dal 6 luglio 1955 al 1° luglio 1958 (primo Governo Segni e Governo Zoli) per poi diventare Ministro del Tesoro nel secondo Governo Fanfani (dal 1° luglio 1958 al 15 febbraio 1959).

In quella calda estate, il suo posto alle Finanze era stato preso da Luigi Preti (PSDI) che, venuto a conoscenza del caso Giuffrè solo nell’agosto 1958, cercò di agire con solerzia e recuperare il tempo perduto, mettendo il difficoltà, col beneplacito di Fanfani, il rivale Andreotti.

(In proposito c’è anche un fatterello divertente: Preti era venuto in possesso di un memoriale – svalutato dalla Commissione come “fonte tutt’altro che attendibile” – risultato redatto dal giornalista Lando Dell’Amico, e ritenne utile passarlo alla stampa. Eugenio Scalfari dell’Espresso venne chiamato al Ministero delle Finanzeper la consegna del memoriale da parte del Capo dell’Ufficio Stampa – poi aspramente censurato dalla Commissione. Contemporaneamente, davanti a Scalfari, l’addetto del Ministero telefonò all’ANSA per smentire le anticipazioni uscite anonime sulla stampa e opera dello stesso Dell’Amico. Alla richiesta, da parte di Scalfari, di chiarimenti fu risposto che evidenti ragioni di opportunità politica imponevano la smentita ma che il memoriale restava valido.)

Tuttavia il giovane Andreotti, non ancora quarantenne ma già all’altezza del suo mito futuro, ne uscì indenne dichiarando che per lui Giuffrè era una casa editrice di testi giuridici. “E’ certo strano – ammetterà la Commissione – il fatto che di questa attività, che si svolgeva alla luce del sole in tutto il lungo periodo che va dal 1949 al 1957 nessun Ministro sia venuto a conoscenza”.

I risultati della Commissione sono ancor oggi interessanti:

1) il buco creato da Giuffrè, secondo i dati “parziali e incompleti” raccolti dalla Commissione, ammontava a circa 3,5 miliardi di lire dell’epoca;

2) l’unico addebito fatto al “banchiere di Dio” fu una multa per possesso di accendini privi del regolare bollo fiscale (“modestissimo risultato di servizio” lo definirà con imbarazzo il Colonnello della GdF);

3) nessun nome fu fatto e nessun complice fu indagato probabilmente prendendo per buono quanto soleva dire lo stesso Giuffré: “La mia macchina calcolatrice è qui – esclamava battendosi una mano sulla fronte – il fido siete voi – ed indicava i reverendi che gli erano intorno – ed il Consiglio di Amministrazione è qui – concludeva con la mano sulla coscienza” (Giorgio Pecorini, “L’illusionista del cento per cento”, L’Europeo, 24 agosto 1958);

4) gli ignari o ingordi “beneficiari” dei contributi (1,8 miliardi di lire a 302 ecclesiastici e 181 laici) si trovarono indagati per evasione fiscale;

5) tra gli imputati finì lo stesso Ministro Preti in quanto avrebbe dovuto occuparsene “senza clamore e con diverso metodo” e senza impartire ordini ai Comandi della GdF;

6) la Commissione segnalò al Parlamento di modificare la Legge Bancaria del 1936 “per far sì che gli organi di vigilanza sul credito e sul risparmio siano forniti di strumenti idonei a prevenire e reprimere fenomeni simili”;

7) fu indicata la necessità di una “più stretta ed efficace collaborazione tra gli organi di polizia sia ordinaria che tributaria…” etc.

A questo punto, dopo 60 anni da quel caso, mi sembra si possano individuare i tipici esiti delle Commissioni parlamentari d’inchiesta:

a) nonostante gli sbandierati “stessi poteri e le stesse limitazioni dell’Autorità giudiziaria” (art. 82 Cost) le Commissioni parlamentari (quanto meno in campo finanziario) non sono tecnicamente in grado di condurre un’inchiesta. E’ come se il Parlamento decidesse di creare una commissione per eseguire un’operazione chirurgica. Che esito prevedete? Un mestiere non s’inventa.

b) i veri colpevoli, data anche la fitta rete di interrelazioni, escono dalle Commissioni sostanzialmente impuniti;

c) chi ha sollevato il caso (allora furono Luigi Preti e i suoi collaboratori) e le presunte vittime rischiano di finire sul banco degli imputati;

d) si auspicano modifiche legislative per dare maggiori poteri alla vigilanza e per accrescere il coordinamento tra organi dello Stato;

e) la Commissione diventa subito terreno di scontro tra partiti e tra maggioranza e opposizione, a prescindere dalle ragioni di merito degli uni e degli altri. La stessa opposizione di allora (PCI) votò a favore della Relazione finale per mettere in difficoltà il Governo Fanfani. In quel caso Preti fu sconfitto e si posero le basi per la crisi del gennaio 1959 e il successivo monocolore DC (secondo Governo Segni), con il PSDI all’opposizione e Giulio Andreotti Ministro della Difesa.

Per la cronaca (di allora) Giuffrè morì in miseria, l’11 luglio ’64, a 63 anni, in una casa di riposo di Lugo (provincia di Ravenna), il paese natale di Carlo-Charles Ponzi.

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