Parlamento
Cinquestelle, non fate i furbi: da voi la democrazia non è mai esistita
Eppure, nonostante tutto, e ripeto: nonostante tutto, i più sani cinquestelle mi sembrano ancora quelli che restano e non quelli che vanno (l’ultima decina proprio ieri, che naturalmente avrà in regalo una consultazione con Renzi al Nazareno sotto la bandiera di “Alternativa Libera”). Il copione dell’addio del resto è consumatissimo e si rifà a un canovaccio che si ripete ciclicamente. Ecco traccia dell’ultimo: «Noi diciamo no a un direttorio nominato dall’alto e che sceglie per tutti – protesta Gessica Rostellato -, nel movimento sono negati il dibattito e il pluralismo». Segue, in automatico, l’accusa di tradimento (“Ci si vende per poco”) da parte del talentino Di Maio.
Ciò che è veramente insondabile, nell’animo pentastellato, è semma il divenire di un tormento, non tanto la sua esplosione che invece assume i tratti ora della convenienza ora di una ritardatissima consapevolezza. In sostanza, che cosa di veramente diverso dalla condizione originaria sarebbe accaduto, per poi farsi sorprendere all’improvviso dalla mancanza di pluralismo? E quale poteva essere, in quei giorni felici dell’incubazione del movimento, il sentimento di una democratica partecipazione se già si sapeva – serviti di barba e capelli – che tutta la pattuglia entusiasta, tra pischelli ancora senza lavoro, precari a contratto, e una spruzzata di buoni professionisti, sarebbe stata eterodiretta da un fuoriclasse della comunicazione “fisica” come Beppe Grillo e da un’entità tecno-subliminale come Gianroberto Casaleggio, l’uno inesauribile trascinatore da stadio, l’altro perfetta contraddizione di un movimento che esibiva le sue passioni sulle pubbliche piazze in maniera plateale e trasparente e non mefistofelicamente ibernato in un ufficio in pieno centro a Milano.
L’adesione a un progetto perverso ma affascinante come quello avrebbe dovuto muovere al sospetto sin da subito, ma in quel momento era un esercizio sin troppo intellettuale, e forse anche eccessivamente snob per i tempi, dubitare di una idea così luminosa e finalmente liberatoria come aprire i Palazzi “come una scatoletta di tonno”. E dunque chi se ne fotte se poi a Palazzo conteremo nulla come persone – avranno pensato gli “eletti” pentastellati – ma poi saremo indistruttibili come movimento (in fondo non è poi il destino di tutti i partiti, non è forse il destino dell’attuale Partito Democratico, che in questa forma allora non c’era ancora?). E dunque buonissima compagnia! In fondo, affidarsi a un valoroso capitano – in questo caso due e (apparentemente) così diversi – è il destino di noi tutti che cerchiamo negli altri quel quid di autorevolezza e spesso, invece, non ne subiamo di ritorno che poche lirette di autoritarismo sciocco che via via vanno a intaccare le particelle entusiastiche dei primi momenti. Ma suvvia, ragazzi e ragazze del Movimento, perché affidare muscoli e cervelli in pari quantità a Grillo e Casaleggio, e senza farsi troppe domande sulla democrazia interna ed esterna, se proprio l’asfissia da mancata democrazia era la molla che aveva coagulato e fatto precipitare sulla Casta la meravigliosa slavina Cinquestelle?
Quelli che restano almeno sono coerenti. Coscienti da subito di un inganno consapevole – letto, firmato e sottoscritto all’epoca nello studio della Casaleggio&Associati – oggi considerano traditori quelli che si spacciano, con gravissimo e strumentale ritardo sull’evidenza delle cose, per i “nuovi” liberatori che illustrano la ribellione ai ducetti di cui sopra.
Entrambe le categorie fanno comunque tenerezza. Se non fosse che di mezzo c’è la democrazia.
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