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Povertà, dare soldi non basta: il reddito di inclusione è una buona idea

28 Luglio 2018

Mentre il Reddito di cittadinanza resta ancora un’ipotesi con non pochi dubbi sulla sua possibile copertura (ovvero: da dove prendere i soldi / quali servizi o prestazioni pubbliche tagliare per sostenerla), i cittadini italiani in stato di povertà possono rivolgersi già oggi ai Servizi del proprio Comune di residenza e inoltrare domanda per il Reddito di Inclusione comunemente chiamato REI (per requisiti e modalità di accesso vedi qui e qui) . Il REI prevede ovviamente un contributo economico al nucleo familiare, proporzionato alla situazione reddituale e patrimoniale di partenza e, da luglio, è una misura strutturale (ovvero destinata a durare nel tempo) e universale, cioè non legata a delle specifiche categorie di beneficiari, ma solo a determinati requisiti di reddito e patrimonio.

Se si limitasse a questo, però, potremmo già scommettere sulla sua inefficacia.

Come e più di altri Paesi del Sud Europa, in Italia i cittadini ricevono infatti già molto denaro (in particolare pensioni, ma anche contributi economici da Regioni e Comuni) in confronto a quanto ricevano come servizi (sociali, educativi, assistenziali, etc.) Quello italiano è un welfare monetario e il welfare monetario si dimostra oggi particolarmente inefficace nel contrasto e prevenzione di alcuni problemi sociali, soprattutto, strano a dirsi, rispetto alla povertà (cronica o in divenire). Collegata a questa caratteristica (e al fatto che oggi la competenza sul welfare è divisa, non sempre in modo razionale, fra Stato centrale, Regioni, Comuni e loro articolazioni) è quella, ancor più limitante in termini di efficacia, della scarsa o nulla connessione tra denaro e azioni: per ricevere i soldi al cittadino si chiede di dimostrare un bisogno e dei requisiti, non viene chiamato e corresponsabilizzato a una specifica azione così come il denaro ricevuto non deve essere necessariamente utilizzato per rispondere a quello specifico bisogno. Prendo un sussidio di disoccupazione anche se non cerco lavoro. Prendo un’indennità a fronte del mio stato di non autosufficienza ma non devo per forza usare questo denaro per pagare una badante.

L’obiettivo del REI è cambiare questo approccio.

Il contributo ricevuto è infatti collegato necessariamente a: la definizione di un percorso di attività condivise tra famiglia beneficiaria e operatori sociali; la loro effettiva realizzazione e valutazione. Si assume cioè che una reale collaborazione e corresponsabilizzazione tra famiglie e operatori dei Servizi sia la premessa necessaria perché la misura REI sia davvero efficace, ovvero capace di contrastare l’impoverimento che così duramente sta colpendo il nostro Paese.

Se, dunque, è certo auspicabile si riesca, nel prossimo futuro, a garantire un graduale ampliamento del numero di beneficiari e un incremento della parte di contributo per ciascuna famiglia (quindi un maggior investimento di risorse economiche), resta comunque questa la caratteristica decisiva del REI e quella su cui si giocherà la sua efficacia. In altre parole, come evidenziato qui e come sottolinea con pregnanza un recente libro a cura di Daniela Mesini nel REI i Servizi sono al centro. Nell’attuale discussione sul welfare del futuro questa non è certo un’ipotesi particolarmente popolare. Non sono pochi coloro che sono infatti a favore di una progressiva riduzione della presenza e della centralità dell’ente pubblico dal sociale, dalla sanità, dall’educazione ed è immaginabile che nel prossimo futuro, anche attraverso il proprio voto amministrativo o politico, ai cittadini verrà chiesto se preferiscano restare soli con i propri soldi o che ci sia un qualcuno che, insieme a loro, si faccia carico del proprio percorso di emancipazione e se questo qualcuno debba ancora essere un operatore pubblico.

Perché WelfareForDummies: 70 anni di Welfare State (unico caso nella Storia umana) hanno prodotto un’Europa con livelli di tutele, salute e longevità con pochi eguali nel mondo, e, allo stesso tempo, con forti disuguaglianze geografiche, generazionali e sempre meno propensa a condividere le conquiste raggiunte con altri. Questa rubrica, dal titolo volontariamente provocatorio, nasce dalla convinzione che oggi, senza una diffusa reale e consapevolezza su come funzioni il welfare, da inclusivo esso rischi di diventare uno strumento di esclusione e disuguaglianza e i diritti diventino privilegi. Si tratta di temi complessi che qui non si vuole banalizzare, ma rendere più comprensibili. In fondo, rispetto al welfare rischiamo tutti di fare la figura degli stupidi.
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