Parigi
Mettiamo alla porta chi usa Charlie Hebdo per fare politica
Non starà accadendo solo in Italia, ma qui la discussione attorno all’attentato di Parigi ha un aspetto stereotipato che francamente non meritano i colleghi di “Charlie Hebdo”. La retorica si sta spandendo a piene mani, i giornalisti si sentono tutti in prima linea, ma soprattutto occupano il campo sia quelli che temono l’islamofobia dopo questa nuova strage sia quelli che temono che l’idea che si possa parlare di islamofobia significhi cedere il passo al radicalismo islamico.
Una parte di questa discussione nasce da orientamenti definiti, un’altra invece trova questa modalità, spesso molto aggressiva di confronto, solo per demonizzare la parte opposta. La verità in tasca non l’ha nessuno e possiamo solo provare a mettere in fila alcuni argomenti. Il primo riguarda le religioni che, tutte, hanno in testa il proprio primato: sia quelle che puntano alla conversione di chi non crede, e l’islam addirittura ne ipotizza la conversione forzata, sia chi non chiede conversione.
Non entro nel merito, l’argomento è troppo complesso e spinoso. Vorrei solo sottolineare che c’è stata un’evoluzione aggressiva delle fede religiose tranne, negli ultimi tempi, di quella cattolica che ha puntato il proprio prestigio e la propria forza di persuasione su un messaggio più tollerante riguardo alle altre fedi, anche se non sempre è più tollerante rispetto alle libertà civili. L’Islam è una religione solitamente poco conosciuta. E’ una strana caratteristica per un una fede che ha svolto un ruolo decisivo in Europa e in tanta parte del nostro paese qualche secolo fa. L’islam aggressivo è sembrato però più volte, soprattutto alla fine del Novecento, prendere il sopravvento. Accadde anche nel movimento di liberazione dei neri Usa con la competizione fra il dr. Martin Luther King e i seguaci di Malcom X.
Per venire agli ultimi anni, il tema dell’islam è stato a lungo confinato nella geo-politica: l’esistenza di regimi, quasi tutti illiberali, che garantivano una forma di dialogo con l’Occidente ha rassicurato quest’ultimo che ha gestito l’islam “interno” senza darsi troppa cura de sentimenti, e spesso delle condizioni di vita, dei giovani islamici di terza e quarta generazione.
E’ con la guerra in Iraq, che piacque tanto a coloro che oggi si spaventano quando sentono parlare di rischio islamofobico, che c’è un salto di qualità sia nelle paure dell’Occidente ( stravolto dall’11 settembre) sia in una gran parte del mondo arabo musulmano. Quella guerra con la distruzione di tutte le strutture civili del paese, e non solo con la cattura e la morte del dittatore, ha segnato una frattura fra Occidente e mondo arabo e ha dato all’estremismo islamico argomenti, forze militari, popolazioni.
Se è vero che non si può dialogare con l’Islam porgendo l’altra guancia, è altrettanto sbagliato immaginare come si è fatto, che la democrazia potesse avanzare nel mondo arabo-musulmano con i bombardamenti e i carri armati. La situazione di oggi ha questo tratto di pericolosità: tutto il mondo arabo musulmano è stato destabilizzato, un paese la cui “occidentalità” era presupposta al punto da farne un candidato all’ Unione europea, la Turchia, è diventato la zona grigia della connivenza con i radicali. Solo in Egitto c’è un generale golpista che parla un linguaggio ragionevole, come nell’ultimo appello ai religiosi per togliere al mondo il sospetto che poco meno di due miliardi di musulmani vogliano sottomettere o uccidere il resto dell’umanità.
La drammaticità di questa situazione si riverbera in Occidente e soprattutto in Europa nell’atteggiamento ostile di gran parte delle popolazioni verso l’immigrazione tout court e soprattutto in Italia, ultima arrivata come paese di accoglienza, l’ostilità cresce fomentata da forze politiche estreme, dalla Lega a Grillo. Questi sintetici ragionamenti mi portano a pensare che la discussione se l’attentato di Parigi sia frutto di un mondo islamico nella sua totalità irredimibile ovvero se dobbiamo ora aver paura che l’islamofobia metta in discussione la convivenza civile appare francamente oziosa e finalizzata ad obiettivi di politica interna.
Ragionevolezza vorrebbe che potessimo discutere a partire da poche semplici considerazioni: a) è vero che l’immagine del mondo musulmano è dominata dal radicalismo e da quello più terrorista e assassino; b) è altrettanto vero che il cosiddetto mondo musulmano moderato, per paura o per connivenza, fa poco o nulla per separare se stesso dai combattenti; c) ma che, infine, decidere di trattare sia gli uni sia gli altri come un unico nemico rappresenterebbe il suicidio dell’Occidente.
Non c’è via d’uscita dall‘uso misurato della forza e da quello” smisurato” del dialogo. E’ stato un generale Usa, Petraeus, a teorizzare che per battere i combattenti islamisti era molto meglio conquistare le popolazioni civili che usare i carri armati. Un Occidente che oggi si dividesse in neo-crociati e dialoganti senza se e senza ma è destinato a perdere soprattutto se stesso. Credo che per questo il mondo dell’informazione più attento e più ansioso di futuro dovrebbe sottrarsi a questa disputa e privilegiare le analisi, i confronti, la ricerca di nuovi filoni di ragionamento. E chi, fra una strage e l’altra, si vuol fare un bel dibattito di politica nazionale si accomodi fuori, per cortesia.
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