Legislazione
Untold#5: il lobbying visto da Federico Anghelé (The Good Lobby)
Metà analista, metà attivista. Con un dottorato in storia politica e alcuni anni di ricerca alle spalle, decide di passare dalla teoria alla pratica. Oggi Federico Anghelé guida The Good Lobby Italia. The Good Lobby è un’organizzazione pan-europea che intende democratizzare l’accesso al potere creando lobby buone di cittadini e organizzazioni che si impegnino per le loro cause e per i loro valori.
Cosa significa lobbying e perché non deve essere considerata una pratica opaca come spesso invece avviene?
Il lobbying è sempre più fondamentale per lo svolgimento del processo democratico perché i decisori pubblici, di fronte a contesti sempre più complessi, hanno necessità di possedere una fotografia del contesto in cui operano attraverso il confronto con esperti o con chi subirà un impatto da parte delle decisioni assunte dai governi. Poiché gli interessi in campo sono molteplici, lo sforzo del decisore pubblico dovrebbe essere perciò quello di raccogliere e sintetizzare quanti più dati e informazioni da più ambiti di riferimento possibili estendendo il coinvolgimento ad un elevato numero di attori che vogliono rappresentare le proprie posizioni e opinioni.
Qual è la condizione attuale del lobbying in Italia e in Europa?
Il lobbying aperto e inclusivo in Italia non esiste, per due ragioni. Prima di tutto non esiste una regolamentazione che, pur non essendo una panacea per tutti i mali, possa contribuire a rendere più chiaro in che modo il lobbista può interagire con un decisore pubblico. Ad oggi non esistono regole precise né per chi fa lobbying a livello professionale, né per chi svolge questa funzione in maniera opaca, senza far leva su elementi razionali e informativi ma attraverso dinamiche puramente relazionali. In seconda battuta, esistono ancora dei privilegi nell’accesso al decisore pubblico che interessano quelle aziende e quei gruppi che hanno acquisito vantaggi in virtù dell’avere un azionista pubblico o dell’essere ex monopolisti in un determinato settore. Questa dinamica mette in difficoltà associazioni e cittadini che vorrebbero interfacciarsi con i decisori ma sono dotati di minori privilegi. Un esempio per comprendere questa dinamica è quello della Sugar Tax: perché nel processo decisionale che l’ha riguardata sono state ascoltate solo le aziende agroalimentari e non quelle associazioni della società civile che si occupano di sostenere un consumo alimentare responsabile?
Quale dovrebbe essere il rapporto ideale tra lobbying e politica?
Il lobbying deve essere regolato, inclusivo e trasparente, ma è bene comprendere che tutti fanno lobbying, tanto le grandi corporation quanto le ONG, sebbene alcuni attori abbiano più alti livelli di meeting rispetto ad altri. In questa situazione, bisognerebbe intervenire evitando che gli interessi rappresentati siano solo di natura economica aprendo maggiormente agli interessi sociali.
Come si incentiva la pratica del lobbying trasparente?
Se il confronto fra gli attori in gioco fosse più inclusivo, i vantaggi sarebbero significativi, perché le decisioni sarebbero più rapide, meno calate dall’alto e quindi troverebbero più consenso. L’esperimento Campania Partecipa avvenuto nella stessa regione ne è una prova: in questo caso le decisioni della giunta regionale sono state trattate in consultazione pubblica, con il coinvolgimento e l’ascolto di tutti gli stakeholder interessati ad una certa tematica. Il risultato ottenuto è stato da una parte la riduzione delle contestazioni, evitate in via preventiva tramite valutazioni di impatto, dall’altra una maggiore legittimità delle decisioni.
Come incide un’attività di lobbying trasparente sull’economia di un Paese?
Un’attività decisionale che coinvolga i vari competitor di un certo ambito, compresi i portatori di interesse in generale fra cui anche i settori più marginalizzati e i cittadini, può senza dubbio portare allo sviluppo del comparto economico interessato, ma non solo. In termini di vantaggio più ampio, la rappresentanza degli interessi che rispetti le condizioni di trasparenza può portare i decisori ad avere più chiara la valutazione dell’impatto di una politica sui soggetti coinvolti. In questo senso se la regolamentazione del lobbying, che non ha solo una funzione proattiva ma anche reattiva, avvenisse a tappeto e in modo continuativo, dovrebbe permettere una migliore valutazione delle policy applicate.
Quali sono gli effetti dell’iscrizione dei gruppi di rappresentanza al Registro europeo?
La registrazione dei gruppi aiuta a favorire la trasparenza, ma l’impatto è limitato. La normativa attuale infatti non riguarda in modo organico tutte le istituzioni europee e ciò attualmente contribuisce a creare delle vie di fuga per eludere le regolamentazioni previste. Ad esempio, sappiamo che il fallimento dell’accordo inter-istituzionale che avrebbe dovuto portare all’estensione del Registro anche oltre a Parlamento e Commissione consente a molti portatori di interesse di non iscriversi, generando una mancanza di trasparenza nei rapporti con i decisori. Si assiste inoltre alla comparsa di fenomeni contingenti da parte di chi cerca di fare lobbying in maniera indiretta: sempre più spesso, per sfuggire all’obbligatorietà dei registri, molte società di lobby infatti si sono trasformate in agenzie di eventi procedendo all’organizzazione di eventi all’esterno del perimetro fisico delle istituzioni dove incontrano decision maker che cercano di influenzare per conseguire i propri obiettivi di policy. Questa situazione mostra che è molto complesso regolamentare l’attività di lobbying anche perché è difficile stabilirne i confini.
Come pensa che un’associazione giovanile potrebbe esercitare azioni di lobbying a favore delle nuove generazioni?
Da tempo le politiche pubbliche del nostro Paese tendono a favorire i già inclusi, i già protetti, i già inseriti nel sistema (di lavoro, di welfare). Anche a causa di una demografia che gioca a loro svantaggio, i pochi giovani italiani hanno subito scelte che ne pregiudicano i diritti e il futuro. Per questo devono partecipare alle scelte cruciali che riguardano anche la loro vita e devono farlo in modo strategico, inserendosi nei processi decisionali. Penso che i giovani abbiano dalla loro la possibilità di essere creativi e dirompenti nello svolgere un’attività di advocacy su temi per loro importanti. La creatività deve essere un complemento del rigore e dell’accuratezza delle informazioni che si vogliono veicolare, e deve permettere di raggiungere un pubblico il più allargato e generalista possibile. Perché non è vero che i giovani non partecipano alla vita politica: se non lo fanno è perché se ne sentono esclusi o la percepiscono come distante e incomprensibile. Bisogna sforzarsi di “recuperare” questi disaffezionati, parlare loro con semplicità e chiarezza e far sì che anche loro possano esprimersi, possano contribuire a reclamare politiche più inclusive e più attente al loro futuro.
Alice Dominese
Membro della Redazione e del Team Public Affairs di Yezers
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