Legislazione

Untold#3: il lobbying visto da Claudio Velardi (Ottimisti&Razionali)

11 Gennaio 2021

Claudio Velardi è presidente della Fondazione Ottimisti&Razionali, giornalista e fondatore di Reti – Public Affairs, Lobbying & Communication. Attualmente è docente di Comunicazione e Marketing politico presso la Luiss Guido Carli e professore del Master in Public Affairs all’Università Suor Orsola Benincasa. È stato inoltre consulente alla comunicazione, spin-doctor e capo di gabinetto di Massimo D’Alema alla Presidenza del Consiglio.

 

Cosa significa per lei lobbying e perché non deve essere considerata una pratica opaca come invece spesso avviene?
Il lobbying è dentro la natura e la socialità umana. Anche quando non ce ne accorgiamo, facciamo lobbying come singoli individui curando i nostri interessi, perciò la rappresentanza degli interessi altrui non è altro che un’estensione della socialità di ogni persona. Qualcosa che ci appartiene in questo modo, di conseguenza, non dovrebbe essere considerato materia oscura da contrastare. Poi si può fare lobbying anche a livello professionale. Se però pensiamo al lobbista come al professionista che fa “monitoraggio parlamentare” e drafting legislativo, che produce position papers, che cura lo stakeholder engagement, il relationship tracking e le media relations… ecco, penso che fare lobbying sia e debba essere anche altro. Certo, i colleghi che svolgono con grande mestiere queste attività sono bravissimi, ma credo che il lobbying vada oltre queste pratiche.

 

Qual è la condizione attuale del lobbying in Italia e in Europa?
Il concetto di lobbying attuale, come dicevo, credo sia superato. In generale si può dire che il mercato del lobbying in Italia è ancora piuttosto ristretto, però è probabile che ce ne sia un altro situato in una zona grigia a causa del fatto che il lobbying è ancora considerata un’attività sporca, non pienamente legittima né una pratica professionale utile. Serve un salto culturale. In Europa la situazione invece è diversa, prima di tutto perché presso le istituzioni europee la rappresentanza degli interessi è più normata e regolata.

 

Quale dovrebbe essere il rapporto ideale tra lobbying e politica?
Dovrebbe essere un rapporto di riconoscimento reciproco. Il lobbista infatti lavora per una rappresentanza ristretta e di parte, mentre il politico dovrebbe occuparsi dell’interesse generale. Quindi da una parte il lobbista deve pensare alla politica come un luogo dove viene fatta sintesi degli interessi particolari, mentre la politica deve considerare il lobbista come un professionista dotato di una sua specifica tecnicalità e come un rappresentante di interessi legittimi. Il politico potrà quindi scegliere se farsi portavoce o meno di determinati interessi ma la loro legittimità non deve essere messa in dubbio.

 

Come si incentiva la pratica del lobbying trasparente?
Le norme che disciplinano il lobbying sono opportune e importanti. Tuttavia non si può pensare di irreggimentare alcuni comportamenti insiti nell’individuo che portano a sviluppare pratiche legate alla rappresentanza degli interessi. Si possono fare tutte le norme che si vuole ma nessuno potrà mai impedire a un lobbista e ad un parlamentare di incontrarsi in un bar. Evitare che un lobbista e un politico si incontrino fuori dalle regole sta quindi all’etica e ai principi individuali, sia del politico che del lobbista.

 

Come incide un’attività di lobbying trasparente sull’economia di un Paese?

Più il lobbying è trasparente, più l’economia corre spedita. Questo perché ovviamente se la rappresentanza degli interessi è trasparente, c’è una continua osmosi fra la  platea di interessi in campo e la capacità della politica di decidere. In questo modo le decisioni sono prese in modo più concentrato e spedito, questo è fuori discussione. Se invece il lobbying è opaco, la capacità di discussione risente di tempi lunghi e l’intero processo decisionale rallenta.

 

Quali sono gli effetti della registrazione dei gruppi di rappresentanza al Registro europeo?

Sono effetti mediamente positivi. È un processo che va implementato e favorito ma il problema sta nel fatto che per quanto si voglia normare il lobbying, non si può controllarlo in tutti i suoi possibili sviluppi.

 

Come pensa che un’associazione giovanile potrebbe esercitare azioni di lobbying a favore delle giovani generazioni?

Fare lobbying per i giovani mi suona strano. I giovani non li considero come una categoria, è una condizione in cui ci troviamo per una certa parte della nostra vita. Se la società si fa carico di un rinnovamento continuo delle generazioni e non si erge a protezione delle generazioni più anziane i giovani allora non fanno strada. Bisognerebbe contrastare ciò che fanno gli anziani a propria protezione anziché a favore dei giovani. Non credo però che si dovrebbe parlare di lobbying dei giovani: è il sistema che dovrebbe essere a sostegno delle nuove generazioni. Però il sistema in Italia purtroppo è vecchio. Penso che i giovani si dovrebbero scagliare contro alcuni temi specifici che li sfavoriscono, senza però mettere davanti a tutto i giovani. Ad esempio “Quota 100” è uno di questi temi problematici, perché è stata una delle peggiori azioni che si potessero fare a svantaggio dei giovani. In generale credo che i giovani si dovrebbero scagliare anche contro il mondo del sindacato, perché non apre loro il mondo del lavoro.

 

Alice Dominese

Membro della Redazione e del Team Public Affairs di Yezers

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.